Un “effetto wow” esplosivo (a partire dall'eclettico Royal Pavilion di John Nash a Brighton), la “maraviglia” di barocca memoria, e allo stesso tempo una riflessione più profonda sul linguaggio architettonico, sulle tecnologie, sui materiali e più in generale su un sistema di valori da comunicare: concepiti appositamente per grandi occasioni, fiere e celebrazioni come “vetrine” dell’epoca in cui sono stati costruiti, molto spesso i padiglioni sono stati terreni di sperimentazione progettuale più che fertili.
Lo dimostrano le tante architetture che, nel diventare icone di un'epoca, hanno anche segnato il passo nell’innovazione tecnologica e nella pratica costruttiva, dal Crystal Palace di Joseph Paxton, costruito per l’Expo di Londra del 1851 e manifesto delle emergenti tecnologie in vetro e acciaio, al Padiglione tedesco di Frei Otto per l’Expo di Montreal del 1967, che ha aperto la strada alle tensostrutture.
Tra i molti esempi di padiglioni – scomparsi o in pessimo stato di salute, ringiovaniti, reinventati, o ancora “spumeggianti” come un tempo – abbiamo selezionato alcune tra le più felici dimostrazioni di equilibrio tra esigenze di rappresentanza da un lato e innovazione progettuale dall’altro: da quelli che hanno mantenuto la loro funzione originaria (Royal Exhibition Building di Reed a Melbourne, Palazzo della Secessione di Olbrich a Vienna, Grand Palais a Parigi, Padiglione Tedesco di Mies van der Rohe a Barcellona, Padiglione n.40 di Vitic a Zagabria, Nordic Pavilion di Fehn a Venezia), a quelli reinventati (Biosphere di Buckminster Fuller a Montreal, Padiglione Olanda di Mvrdv ad Hannover, Padiglione Alif di Foster+Partners a Dubai); da quelli smantellati e rimontati altrove (Padiglione Esprit Nouveau di Le Corbusier a Parigi), a quelli definitivamente scomparsi (Glaspavilion di Taut a Colonia, Padiglione Urss di Melnikov a Parigi, Philips Pavilion di le Corbusier a Bruxelles, Padiglione Italia di Studio Valle a Osaka, Serpentine Summer Pavilion di Herzog&De Meuron e Ai Weiwei a Londra).