Nel momento in cui Sony, Playstation Productions e lo sviluppatore di videogiochi Naughty Dog hanno deciso di adattare il videogioco culto The Last Of Us in una serie tv, hanno deciso che l’avrebbero fatto a partire dall’architettura e dal design degli ambienti.
Nessun videogioco è mai stato adattato in questa maniera. Di solito si prendono i personaggi o lo spunto narrativo e li sì sfrutta per una storia nuova e indipendente, spesso tradendo molto, in questo caso invece la scrittura di The Last Of Us è talmente legata al segreto della sua popolarità che è stato adattato come fosse un romanzo, con una fedeltà
maniacale.
Dunque per la prima volta qualcuno si è dovuto chiedere da dove si parta se si vuole generare, con una serie, le stesse sensazioni generate dal giocare un videogioco. La risposta è stata: dall’architettura degli ambienti.
Playstation e Naughty Dog con il supporto di HBO come produttore sono andati alla radice di cosa costituisca l’essenza di The Last Of Us e hanno trovato la risposta nei luoghi, nelle luci che entrano negli interni sfondati e poggiano sulle piante cresciute selvaggiamente, nei
mobili mangiati dall’erba, nei retro delle case, nei loro prati cresciuti senza regole e in quell'architettura da America provinciale abbandonata.
Neil Druckmann, designer e scrittore dei due videogiochi The Last Of Us oltre che sceneggiatore della serie, già aveva fatto del design degli ambienti la componente fondamentale del suo gioco, aveva usato i posti e quello che ci si trova dentro per raccontare la sua visione di mondo, la brutalità umana che emerge in un momento di crisi, insieme al disperato bisogno di vicinanza dei protagonisti che li porta a scelte estreme e per
mostrare la tenerezza che viene schiacciata dalla paura.
La serie tv lungo le sue 9 puntate segue fedelmente la trama di un uomo e una bambina che attraversano gli Stati Uniti devastati da un’apocalisse zombie sviluppando un rapporto, ma lo fa tramite continue digressioni con le quali espandere la storia, seguire personaggi comprimari ed esplorare di più quel mondo in rovina. Sono le regole della serialità nelle quali però The Last Of Us inserisce quell’uso particolare di interni ed esterni per raccontare il cuore della storia visto nel gioco, non un supporto alla narrazione dell’intreccio ma alla
descrizione di come viviamo insieme e alla fine moriamo da soli.
È praticamente uguale la casa in cui tutto inizia, nel gioco la vediamo subito nella notte del delirio, mentre la serie attacca un po’ prima ma non cambia granché, porte finestre, scale, mobilio... Tutto coincide e lancia un messaggio chiarissimo fin dai primi minuti: abbiamo trovato quel mondo in quel design. Saranno quindi identici i cortili interni, i palazzi di mattoni rossi mangiati dalle piante, le porte d’acciaio e le passerelle, le lande desolate e poi gli interni delle università e dei centri di ricerca visitati e abbandonati.
Anche le stazioni di servizio devastate sono identiche. Ancora più maniacalmente però e l’illuminazione di quegli ambienti nei quali si possono trovare zombie come uomini ben più pericolosi ad essere replicata, perché l’illuminazione è ciò che direziona lo sguardo dello
spettatore e, entro certi limiti, dà una forma ai luoghi, oltre a collegare delle sensazioni precise agli ambienti.
Ci sono gli scenari desolati, le città abbandonate e gli interni in cui i funghi che contaminano le persone hanno attaccato anche le pareti, non mancano nemmeno le scritte lasciate sui muri da qualcuno, ma in un gioco di esplorazione che diventa una serie tv on the road con
l’obiettivo di raccontare la maniera in cui il mondo intorno a noi ci cambia, trasformando le persone da buone in cattive, rendendo decisioni impossibili possibili e spingendo esseri umani diversi a sviluppare rapporti, il contesto sta nei resti, cioè in quello che rimane delle persone nelle stanze che hanno abitato.
Così lungo i 9 episodi assistiamo ad una storia d’amore eccezionale tra due uomini che è possibile solo perché uno dei due crea un Eden in una cittadina svuotata e recintata, al sicuro dagli zombie e dagli altri umani, un posto in cui invecchiare insieme senza paura. È una storia d’amore di quelle che faranno parlare e il simbolo della ricerca dell’amore di
quelle due persone è tutto nel paesaggio urbano di quel piccolo centro svuotato ma tranquillo, non devastato, non massacrato come gli altri, solo deserto, un posto in cui non esiste niente di tutto quello che li affligge.
Andando avanti con gli episodi si trova anche una soffitta abitata per un periodo da qualcuno che l’ha usata per nascondersi, nel perlustrare la quale si notano ancora dei disegni di un bambino, ed è la cosa più forte della puntata che la contiene. Più di mille discorsi è quel posto e come è stato lasciato che racconta il sopruso e la disperazione. O ancora ad un
certo punto esplorando i sotterranei di una città in cerca di una via d’uscita i protagonisti si imbattono in un asilo abbandonato, costruito sottoterra, pieno di giochi e disegni sui muri.
Era stato il tentativo di salvarsi dall’epidemia resistendo assediati, arredando il tunnel invece di trovare una via d’uscita. Sono tutti luoghi abbandonati che erano stati riutilizzati, la loro destinazione d’uso e lo scopo per il quale erano stati progettati originariamente piegato alle
esigenze di un mondo nuovo di terrore. Chiunque, anche a digiuno di nozioni di architettura, può comprendere la distanza che esiste tra l’utilizzo originario e quello che ne è stato fatto, unendo i puntini e comprendendo tutto quello che deve essere avvenuto tra di essi.
Infine anche la seconda gamba del ragionamento di The Last Of Us sull’umanità, cioè la difficoltà nell’indicare con chiarezza chi possa dirsi buono e chi cattivo, passa da un ambiente. Un personaggio che ci viene presentato come l’emblema del male, terribile e durissimo, a un certo punto avrà un momento in cui approfondire il suo passato e capirne le
ragioni, quello in cui guardare la storia dal suo punto di vista quello dal quale è lei la protagonista e non il villain.
Questo momento avviene quando ritrova l’appartamento in cui è cresciuta, anch’esso svuotato e disabitato. Là dentro, in quelle stanze, quella persona è diversa, quando ricorda cosa succedeva lì e come lei lo abitasse cambia davanti ai nostri occhi. Il solo stare incastrata in quel posto le dà un altro significato, risveglia un’altra personalità, ci svela un’altra cosa su di lei e ci mette dalla sua parte.
The Last of Us debutta il 15 gennaio, in Italia su Sky dal 16. Nel 2022 Playstation ha lanciato il remake del videogioco per PS5, da cui sono tratte le immagini di questo articolo, che sarà disponibile anche per Windows dal mese di marzo.