Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1073, Novembre 2022.
Complice la pandemia, il progetto realizzato dallo studio parigino di Kengo Kuma & Associates con Michel Desvigne per il verde è stato ultimato solo da pochi mesi, anche se il concorso risale a otto anni fa. Il compito era estremamente stimolante: progettare un nuovo edificio per la collezione di foto e video di Albert Kahn (1860-1940), ripensare il museo preesistente e altri otto piccoli volumi presenti nel parco di 4,2 ettari, parte del complesso.
Kuma ha costruito un gioiello inaspettato, schermato, lato strada, da una parete composta da lamelle di alluminio il cui andamento diagonale crea un ingresso che invita a lasciarsi alle spalle la città per immergersi negli spazi dilatati del mondo di Albert Khan, la cui collezione ha alla base un’utopia: il desiderio di documentare la cultura di tutti i Paesi per una maggiore comprensione tra i popoli, in vista di una pace universale. Immagini fotografiche e video, raccolte da fotografi e da lui stesso, in giro per il pianeta per anni, per raccontare le differenze, anche in termini di progettazione dei giardini, rappresentati anche nel parco in cui è immerso lo spazio culturale.
Dall’ingresso del nuovo edificio di 2.600 m2 si accede alle due gallerie espositive – una per la mostra permanente e l’altra per quelle temporanee –, al ristorante al piano superiore – non ancora funzionante e per questo al momento privo di arredi, con una parete specchiata a ridare il verde su ambo i lati – e alla sala documentazione. Sul retro si trova un corridoio passante, uno spazio chiuso e non chiuso, un diaframma che invita a godere del giardino. Le lamelle orizzontali, qui di legno e alluminio, posizionate in modo irregolare, mettono in atto un gioco di ombre e luce, con la natura che filtra. I pavimenti e i soffitti sono di legno nelle zone espositive, di legno e bambù nella vecchia costruzione, completamente svuotata e adibita ad auditorium.
Riflessi, vibrazioni, variazioni e trame irregolari accompagnano il visitatore attraverso le sale, nel rinnovato spazio del museo esistente, attraverso il parco suddiviso in vari giardini, tra le piccole costruzioni restaurate e ripensate. È il caso della palmaria, la grande serra, con spazi espositivi e ricreativi e con nuove terrazze laterali, come anche degli altri edifici adibiti a toilette, spazio attrezzi, casetta per i lavoranti. Per fare il giro completo, in tranquillità, per perdersi come un flâneur, ci vogliono almeno due ore, meglio se tre. Nessuna fretta. Qui tutto appare sfumato, anche il tempo. Oltre alle moltissime immagini della collezione, si contemplano i giardini e l’architettura. Tutto fluisce in un’unica utopia, priva di confini netti, anche da lontano: l’alluminio del tetto vibra e riflette la luce e il cielo.