Se è vero che l’architettura brasiliana è tutt’oggi fortemente debitrice della lezione modernista di Oscar Niemeyer e che il brutalismo con le sue volumetrie scarne e ruvide ha ancora forti radici nel substrato socio-economico del paese, è anche vero che negli ultimi decenni i progettisti hanno saputo venire a patti con il rigore intransigente del secolo scorso per esplorare linguaggi espressivi più “morbidi” e variati, sempre e comunque alla ricerca di un dialogo profondo con la cultura locale. Ne sono un esempio il recupero e la reinterpretazione, in molte opere contemporanee, di un elemento tipico della tradizione costruttiva brasiliana come il cobogó, introdotto a partire dagli anni ’20 del XX secolo e ampiamente diffuso dal Modernismo.
Il cobogó – acronimo delle prime sillabe dei cognomi dei suoi ideatori, gli ingegneri Coimbra, Boeckmann e Góis – è un mattone traforato, originariamente in laterizio o calcestruzzo e oggi anche in altri materiali come ceramica e legno, che in forma aggregata consente la realizzazione di pareti con funzione di filtro dall’abbacinante luce tropicale e di agevolazione della ventilazione naturale: come la mashrabiyya araba, uno strumento per garantire il benessere micro-climatico in ambienti dai climi estremi e privacy da sguardi esterni. Oltre agli aspetti strettamente funzionali, le molteplici modalità di assemblaggio e di disegno geometrico delle unità consentono un’ampia varietà compositiva, arricchendo lo spazio di vibranti giochi chiaroscurali a seconda delle ore della giornata.
Così a São Paulo quinte traforate, plastiche e scultoree impreziosiscono le abitazioni dai volumi sobri ed essenziali progettate da Marcio Kogan (Cobogó house, B+B House) e da Studio Arthur Casas (BD house) e trame tessiturali dal sapore artigianale conferiscono agli interni di un negozio progettato da Estudio Campana (Aesop Store) un carattere caldo e materico; a Várzea Paulista, un corposo complesso scolastico si trasforma in uno schermo di luce di giorno e in una “lanterna” di notte. Dal Brasile l’utilizzo del cobogó si è largamente diffuso in altri paesi, a partire dal Messico dove Frida Escobedo (La Tallera) racchiude una struttura preesistente in un involucro diafano, come in un abbraccio avvolgente ma delicato.
Attraverso tempi e funzioni diverse, resta in ogni caso forte la natura “duale” – al contempo vernacolare e contemporanea, funzionale e poetica – di questo elemento costruttivo dai numerosi ambiti d'applicazione e dalle possibilità evolutive ampie.