“Non voglio vantarmi... ma sono il più grande!” spiega Sidney “Syd” Deane a due ragazze ferme a bordo campo per guardare l’incontro di street basketball. Ha appena fatto una schiacciata dopo aver lasciato a terra l'avversario con un cross-over. Questa è senza dubbio una delle battute più iconiche del celebre film White Men Can’t Jump (malamente tradotto in italiano in “Chi non salta bianco è”).
Ci troviamo a Venice Beach, a Los Angeles, e il co-protagonista del film – interpretato dall’attore afroamericano Wesley Snipes – è il classico personaggio che puoi trovare in ogni playground californiano: palestrato, arrogante, talentuoso, e squattrinato. Come succede di frequente, il successo nel campo in cemento nasconde una vita piena di ostacoli (la famosa thug life). Ma il playground è un altro mondo: ha le sue regole e le sue gerarchie, e il valore più importante è il rispetto, che può essere conquistato solo con la pratica, l’allenamento e la fatica.
“Rispetto, per alcuni è tutto, per altri solo un concetto astratto”, diceva il rapper bolognese Kaos One.
Il campo da gioco (parliamo di basket ma anche di molti altri sport di squadra) non è solo un pavimento rettangolare in cui si fa attività fisica, ma un micro-universo in cui si formano delle comunità. Per questo la recente tendenza di rinnovare i playground con opere di street art (o opere murarie di vario tipo) non ha solo l’ambizione di decorare questi luoghi, ma rappresentare l’energia che questi ambienti possono sprigionare.
Non è un caso che aerosol art, musica rap, street basketball e altre sottoculture urbane condividano gli stessi valori: sono spesso intrecciate, e considerabili espressioni alternative degli stessi contesti periferici.