È un Portogallo inedito—se in fotografia può aver ancora senso usare un aggettivo del genere—quello ritratto da Michele Palazzi in Finisterrae.
Inedito perché misterioso, lontano quindi dall’iconografia classica fatta di luoghi comuni in bilico tra esotismo e turismo, e misterioso perché una delle proprietà più conturbanti della fotografia è quella di occultare, in opposizione alla sua più evidente e connaturata proprietà disvelatrice. E questo è tanto più vero per la fotografia documentaria anche se (ma oggi sempre di più proprio perché) il suo scopo principale deve essere quello di raccontare una storia.
Sulla veridicità degli “eventi narrati” non si pone dubbio, ma il modo in cui Palazzi li veicola — antinarrativo, ellittico, elusivo — è personale e seducente: è con visioni come quelle proposte da Finistrerrae, del resto, che emerge il potere della fotografia documentaria contemporanea, dove interpretare non vuol dire inventare, e occultare non vuol dire mistificare.
In perfetto accordo con la bellezza ombrosa e lussureggiante delle immagini, il libro che finalmente le raccoglie si caratterizza per un’edizione sontuosa e minimale allo stesso tempo, in cui lo sfoglio delle pagine è un piacere sensoriale di cui la vista è solo uno degli elementi coinvolti.
Disegnato da Valentino Barachini e Chiara Capodici, stampato e distribuito in sole 200 copie da Leporello e Origini Edizioni, ne è stato realizzato (a mano) anche un Collector Folder numerato e firmato, che contiene, oltre a quattro foto inedite, una stampa in serigrafia.
Riflessione atemporale sulle origini comuni del Vecchio Continente attraverso soggetti decontestualizzati e un paesaggio immoto, Finisterrae è il primo capitolo di una serie sui paesi dell’Europa mediterraneache Palazzi è in via di realizzazione.