Per scenografico che possa suonare esprimersi in termini di “dopo Domus, il diluvio”, non è così che ci piace pensare. E non è così che piace pensare a Jean Nouvel, che due anni dopo i suoi undici numeri da guest editor, vive in modalità fioritura, altro che diluvio, attivissimo nel pieno epicentro della contemporaneità, la Parigi delle Olimpiadi imminenti, la città del suo debutto e della sua maturazione come progettista e protagonista di diverse stagioni.
È qui che lo incontriamo, mentre inaugura un progetto dall’altissimo tasso olimpico, l’installazione per Samsung, brand partner dei 5 cerchi da ormai tre decenni, sugli Champs Elysées.
Lo spazio chiama subito in causa la città e il suo paesaggio: anticipa un padiglione lungo 80 metri che prenderà forma al Rond Point poco distante, e si inserisce tra due storefront difficili da ignorare, come quelli di Saint Laurent e Dior (che ha direttamente monogrammato l’intero edificio), ed è per questo che, come ci racconta Nouvel, la sua architettura punta a “generare domande, più che risposte”, con una astratta facciata blu, dietro cui non si vede il contenuto. “Non si vede che l'astrazione, e la sua corrispondenza con gli edifici; c'è anche una piccola vetrina accanto, infatti, e la proporzione diventa quella di una grande facciata – una piccola, grande facciata – con dall'altra parte una minuscola facciata. È una sequenza di frammenti”.
Sono oltre quarant’anni, infatti, che le trasformazioni dello spazio urbano parigino e Jean Nouvel sviluppano la loro storia sullo stesso binario, dall’epoca dei Grands Projets promossi dal presidente Mitterrand in cui si inseriva un’icona come l’Institut du Monde Arabe, passando per la non-facciata vetrata della Fondation Cartier sul boulevard Raspail e da quelle verdi e decostruite del Musée du Quai Branly, fino a oggi, dove con un certo salto di scala, sono più le domande che le risposte ad addensarsi attorno a cosa sia la Parigi che cambia, la Parigi che per il 2024 si aggiudica l’etichetta olimpica e dopo chissà. “La più grande virtù di Parigi” dice Nouvel, “è l’essere Parigi, l’esserlo stata per molto tempo, con un patrimonio e delle caratteristiche specifiche che rimangono. Il suo più grande difetto invece è che, questo, non lo fa abbastanza spesso, e non lo fa bene. La priorità di Parigi sarebbe quella di sfruttare al meglio il suo tempo; non stare sempre sulla retroguardia, facendo piccole cose. Se si guarda a ciò che è stato fatto in termini di architettura per i Giochi Olimpici, che non è molto, si ottiene un dato indicativo”.
La più grande virtù di Parigi è l’essere Parigi, l’esserlo stata per molto tempo, con un patrimonio e delle caratteristiche specifiche che rimangono. Il suo più grande difetto invece è che, questo, non lo fa abbastanza spesso, e non lo fa bene.
Jean Nouvel
In un momento in cui, l’architetto sostiene, “non c'è praticamente più traccia di lavoro creativo in architettura”, con l’esclusione di grandi progetti culturali legati ai grandi nomi delle fondazioni d'arte, lo scenario parigino potrebbe essere di nuovo un laboratorio, come proprio in era Mitterrand si era vagheggiato, identificando una nouvelle architecture française che combinava innovazione tecnologica, attenzione al patrimonio e un forte valore urbano dei progetti, ma le condizioni perché succeda stanno nelle proposte che si faranno. L’architettura francese, più che “nuova”, esiste da lungo tempo, dice Nouvel, “ha lasciato il segno nel mondo tra il gotico e altri periodi, che sono legati alla trasformazione di Parigi: Haussmann, naturalmente, e tutta l'architettura del XIX secolo, che è stata tanto criticata ma che adesso torna in auge; in questo momento tutto ruota attorno al patrimonio. Ma parlare di patrimonio non significa limitarsi a conservare e a togliere la polvere: si tratta di arricchirlo. Se lo abbiamo, è per arricchirlo. Non basta vantarsi di essere stati una grande città”.
È in questa direzione che lavora il Nouvel del 2024, col progetto della nuova location di Fondation Cartier nell’ottocentesco Louvre des Antiquaires sulla rue de Rivoli, come con il ritorno su un suo progetto di tempo fa, una galleria sul quai Voltaire che il nuovo proprietario ha voluto rinnovare mantenendo però il carattere di astrazione dell’architettura negli spazi collettivi e privati. “Un’architettura che testimonia l'epoca”, la definisce lui, “si possono anche fare tante cose, si possono fare programmi, ed è una cosa, ma i luoghi sono un'altra. E migliorare i luoghi in cui viviamo, arricchirli, questo è il ruolo di un architetto”
Parlare di patrimonio non significa limitarsi a conservare e a togliere la polvere: si tratta di arricchirlo. Se lo abbiamo, è per arricchirlo. Non basta vantarsi di essere stati una grande città
Jean Nouvel
Già, il ruolo dell’architetto. È ormai decaduta da più di mezzo secolo qualsiasi illusione che possa demiurgicamente dare forma alle cose, alle case, figuriamoci alle città. La questione si sposta sulla sua incidenza sul dibattito che può indirizzare quella forma. Dove ad esempio le riviste devono giocare il loro, di ruolo – “Un ruolo per le riviste d’architettura? Deve esserci! Ne abbiamo bisogno, tutti ne hanno bisogno” – ma quando si viene alle figure di chi progetta, tutto inizia a scricchiolare.
“Il problema è che gli architetti non esistono più. In altre parole, non hanno più alcun potere”. Il tema che Nouvel aveva già evocato nel presentare le sue riflessioni per Domus nel 2022, è un tema di contesto che inanella diverse scale del pensare e dell’agire professionale: “La moltiplicazione dello sviluppo urbano, la delocalizzazione del territorio, ha portato alla costruzione di tutta una serie di edifici che non sono più architettura, ma una successione di cloni che hanno clonato l'intero pianeta. I pochi architetti che cercano di lavorare in una dimensione artistica sono generalmente messi da parte perché devono lavorare, quindi i loro onorari sono più costosi degli altri”.
Ma l’orizzonte non sta nella crocifissione ad una parcella come definitiva impossibilità di una qualsiasi agency per chi progetta lo spazio e allo stesso tempo il pensiero, come ci si augura per l’architettura: “Il ruolo dell'architetto” in realtà, “sta diventando sempre più vitale, perché è un ruolo culturale che non riguarda solo la cultura; la cultura è spesso il campo d’azione dell'architetto, ma nel senso dello sviluppo di città che hanno una storia. Continuare quella storia è vitale per le generazioni future”.
Immagine di apertura: Jean Nouvel. Foto Giovanni dal Brenna