Se si pensa alla storia del design italiano, e quindi milanese, non si può non partire dalla storia delle ville in quel territorio - per alcuni tratti mitologico - chiamato Brianza. Ville di Delizia che da secoli punteggiano tutta l’area e che furono destinatarie di quell’alto artigianato mobiliero (e del complemento d’arredo decorativo) nato e sviluppato inizialmente per permettere all’aristocrazia prima e alla borghesia dopo di godersi lunghi periodi di soggiorno in villeggiatura.
La storia di Villa Borsani e perché è così importante
Il progetto della villa brianzola ora sede di Alcova, racconta tante storie: familiari, di impresa e di architettura moderna. E rappresenta bene l’incredibile contributo del suo territorio alla storia del design e del Salone.
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- Matteo Pirola
- 17 aprile 2024
- Varedo (MB)
- Osvaldo Borsani
La più celebre è la Villa Reale di Monza, dove tutto nella modernità del design milanese ebbe inizio per via della nascita prima dell’Università delle Arti Decorative nel 1922, e poi dall’anno successivo con la nascita delle Biennali di Arti Decorative poi diventate le Triennali di Milano dal 1933. In questi “acceleratori” di idee, arti e nascente design, artisti, artigiani, architetti incontravano i loro committenti che si facevano pubblico e “massa”, dando inizio alla storia del design italiano.
La villa racchiude in un solo luogo tante storie di progetto, di impresa, di famiglia, di artigianato, di arte e di architettura.
Fino ad un certo punto della storia, da una parte stavano i nobili che costruivano e soggiornavano nelle ville e dall’altra stavano gli artigiani che nelle loro botteghe realizzavano i relativi mobili. Poi, con un cambio di passo, tra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento, alcuni artigiani si sono emancipati, “modernizzati”, evoluti, diventando imprenditori e industriali, figure quindi di una nuova borghesia che si stava sviluppando con l’economia e le nuove generazioni.
Tra le tante - ma non tantissime ancora esistenti e in perfette condizioni - ville distribuite tra Milano e il triangolo lariano ce n’è una che racchiude in un solo luogo tante storie di progetto, di impresa, di famiglia, di artigianato, di arte e di architettura.
A Varedo, una cittadina che sta proprio a metà strada sull’asse Milano-Como, si trova Villa Borsani, progettata nei primi anni Quaranta per dare nuova residenza e rappresentanza all’Abv, Arredamenti Borsani Varedo, fondata nel 1923 da Gaetano Borsani per produrre “mobili d’arte e in stile”, e che allora si trasferiva in un nuovo insediamento produttivo contiguo alla casa.
Gaetano era il padre di Osvaldo e Fulgenzio, gemelli e sodali soci di quella che divenne poi, partendo da questa tradizione familiare, una delle più importanti aziende di design contemporaneo fondata nel 1953: la Tecno.
Mentre Fulgenzio era colui che seguiva la parte amministrativa dell’azienda, Osvaldo, che aveva studiato architettura, si dedicava alla parte creativa. Naturale che quindi fu lui a sviluppare il progetto di questa nuova architettura così ricca di innovazioni spaziali e manifesto di una visione che vedeva il paesaggio, l’architettura, gli interni, gli arredi e l’arte come un unicum progettuale da abitare.
È sorprendente il progetto degli arredi fissi, delle attrezzature, delle nicchie, dei vani accessori di servizio alla vita domestica, spesso nascosti negli spessori dei muri.
I riferimenti evidenti del giovane Osvaldo, che aveva già dato prova della sua abilità per esempio con la “Casa Minima” progettata e realizzata ancora da studente per la Triennale del 1933, si rifacevano direttamente ai suoi maestri universitari come Muzio, De Finetti e Portaluppi che a Milano stavano ridisegnando la città moderna, e indirettamente ai maestri dei maestri, i grandi autori dell’architettura mitteleuropea di inizio Novecento, come Behrens, Tessenow e soprattutto Loos, con la sua idea rivoluzionaria del Raumplan, ovvero una progettazione spaziale con più ambienti interconnessi su più livelli.
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
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Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Foto Daniele Ratti
Questa è la chiave progettuale per capire l’impianto tipologico di Villa Borsani, frutto di una attenta distribuzione degli spazi che fluiscono ininterrottamente a varie quote tra esterni e interni, e tra interni ed interni, che producono un insieme asimmetrico e tutto sommato contenuto, di volumi razionali che si integrano con la natura del giardino circostante.
Dietro un lungo muro di cinta che si anima plasticamente nel luogo dell’ingresso principale si trova l’articolato organismo di accesso alla casa, che filtra per tramite di una pergola sopraelevata e un patio che ospita grandi alberature.
Appena dentro il volume chiuso, una scala in marmo rosa di Candoglia (lo stesso del Duomo di Milano) accoglie gli ospiti in un ambiente luminoso e aereo, facendosi manifesto dei percorsi da intraprendere alla scoperta dell’architettura.
Tra gli ambienti principali, un piccolo studio è il primo spazio di accoglienza mentre la residenza si sviluppa sull’altro lato, con una sala da pranzo che può collegarsi direttamente o indirettamente, alternativamente, con l’ampio soggiorno ribassato che si riaffaccia sul giardino. Al piano superiore una camera degli ospiti allo sbarco della scala, un disimpegno a giorno e l’ala destinata alla zona notte padronale, con alcune stanze di servizio. Da notare come i cosiddetti corridoi non siano mai lo spazio minimo di collegamento tra un ambiente e un altro, ma siano sempre degli ambienti a loro volta, di passaggio certo ma attrezzati per vari tipi di eventuali soste.
Ogni ambiente, ancora oggi originale e in perfetto stato di conservazione, è ricco di arredi mobili, disegnati e realizzati dai Borsani o da alcuni degli autori e artisti che durante la storia hanno collaborato con l’azienda di famiglia. Ma soprattutto è sorprendente il progetto degli arredi fissi, delle attrezzature, delle nicchie, dei vani accessori di servizio alla vita domestica, spesso nascosti negli spessori dei muri. Come a voler dimostrare che, quando la funzione e quindi la forma di un oggetto non è degna di isolarsi, di mettersi in scena nello spazio, allora viene assorbita dall’architettura che ne custodisce comunque il prezioso servizio (questo in fondo è il segreto del design, del prodotto, dell’arredo, che nasce proprio “liberandosi” dall’involucro architettonico).
Uno degli angoli più spettacolari di queste attrezzature che si aprono e sorprendono lo spazio è nel piano interrato, dove oltre a vari locali di depositi e cantine, si trova una sala ludica di intrattenimento per gli ospiti, dove scorrendo un pannello decorato si apre uno spettacolare bar integrato e passante.
Tutte queste invenzioni e l’insieme degli oggetti prodotti nelle varie epoche che arredano, e quindi si prendono cura degli spazi di tutta la villa, sono accompagnati da altre significative presenze. Sono le numerose opere d’arte fatte appositamente per le singole occasioni dagli artisti che frequentavano i Borsani. Vere e proprie opere d’arte - come si dice - applicata, dove, tra gli altri, Arnaldo Pomodoro disegnava la testiera di un letto, Agenore Fabbri delle sedute, Alessandro Voltan le superfici di alcune ante di serramenti, Adriano Spilimbergo le decorazioni per la sala da bagno e Lucio Fontana il rivestimento del camino in soggiorno.
Questo ricco apparato decorativo di opere per l’arredamento, si integra perfettamente con lo stile usato negli interni, altrettanto carico di superfici ornamentali date dalle valenze espressive dei materiali impiegati.
Gli spazi fluiscono ininterrottamente a varie quote tra esterni e interni, e tra interni ed interni, e producono un insieme asimmetrico e tutto sommato contenuto, di volumi razionali che si integrano con la natura del giardino circostante.
Il linguaggio architettonico utilizzato è quello delle origini del Modernismo (quindi abbastanza lontano dalle avanguardie razionaliste più audaci e contemporanee) ma con un bilanciamento tra classico e nuovi stilemi, tra tradizione decorativa e innovazione espressiva, dove spesso degli esterni austeri contenevano interni patinati.
Resta indiscusso il valore del luogo storico, progetto emblematico di integrazione delle arti e manifesto di architettura degli interni.
Facendo un ultimo veloce passo indietro nella storia del territorio e di quella relazione iniziale suggerita tra ville e design si segnala che, sempre a Varedo, poco distante dalla proprietà Borsani, c’è la più antica, ampia e fastosa Villa Bagatti Valsecchi, casata nobiliare milanese che già nel 1700 si insediava in queste aree e che verso al fine del 1800 con altri due fratelli, Fausto e Giuseppe, vide sbocciare una grande attività di collezione d’arte e sviluppo dell’architettura (da non perdere il Museo Bagatti Valsecchi di Milano).
Durante la Design Week 2024, Alcova, ente privato di design contemporaneo che si definisce propriamente come una “piattaforma per designer, aziende, istituzioni e ricercatori che indagano sul futuro dell’abitare e del fare”, dopo aver avuto il pregio di riscoprire molti luoghi abbandonati di Milano città, ha deciso di usare questi due siti nella provincia dove tutto è nato, per un interessantissimo cortocircuito culturale, dopo un secolo dalle prime esposizioni di arti decorative.