“La stampa 3D avrà una funzione fondamentale per l’architettura extraterrestre”, spiega Ersilia Vaudo, che mi inchioda alla sedia con una occhiata di fuoco quando in uno scivolone da overdose adolescenziale di Starship Troopers le chiedo più dettagli sulla “conquista dello spazio”. Vaudo, astrofisica, Chief Diversity Officer dell’Esa, l’agenzia spaziale europea, è main curator della ventitreesima esposizione internazionale della Triennale. “Parliamo di abitare lo spazio, non conquistare”, mi corregge affabilmente.
L’ignoto: la nuova frontiera dell’abitare
Tra galassie cannibali, architetture extraterrestri e stampanti 3D che “riparano” gli astronauti, l’astrofisica Ersilia Vaudo porta Domus alle frontiere dell’esplorazione spaziale alla 23a Esposizione Internazionale in Triennale, di cui è main curator.
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- Alessandro Scarano
- 14 luglio 2022
Incontro Ersilia Vaudo quando il sole è allo zenit (metaforicamente, lei avrebbe sicuramente da puntualizzare) in una caldissima giornata dell’estate milanese più torrida di sempre, in uno stanzino senza finestre ma freschissimo (“il suo preferito”, mi spiegano) negli uffici della Triennale. Vaudo sta finendo una intervista telefonica. Mi accoglie con tutta l’emozione, come la spiega lei, di chi ha visto questa esposizione passare “dallo stato gassoso a quello liquido e ora siamo finalmente a quello solido”. Come a dire che ci siamo quasi, manca pochissimo all’inaugurazione – tra una settimana apre le porte al pubblico l’esposizione e con lei “Unknown Unknowns: An Introduction to Mysteries”, la mostra che ne fa da centro nevralgico, curata in prima persona da Vaudo.
Il titolo è preso a prestito da un importante passaggio di una ricerca psicologica di metà anni Cinquanta, balzato alla ribalta ai tempi della guerra in Iraq grazie a un pastrocchio linguistico del segretario della difesa Usa Donald Rumsfled, che dichiarò qualcosa come “as we know, there are known knowns, there are things we know we know, we also know there are known unknowns” e così via. Del titolo scelto, Vaudo ama l’ambiguità – “un’arma dello sconosciuto”, come la definisce lei – perché può essere tradotta sia come “gli ignoti sconosciuti”, sia “lo sconosciuto che non conosce”. E precisa, se ce ne fosse bisogno, che la mostra con Rumsfeld non ha niente a che fare.
Come ci sia finita, un’astrofisica in Triennale, Vaudo lo racconta riavvolgendo il nastro a pochi giorni prima che il Covid-19 diventasse una pandemia su scala globale. Coincidenza, è un talk intitolato “Le prime volte” che la traghetta a questo esordio. Vaudo partecipava su invito di Stefano Boeri, presidente di Triennale, e un passaggio chiave era che dell’universo conosciamo solo il 5%. Il tema del non-conosciuto – condiviso da molti degli esperti lì presenti – era amplificato dall’ospite ignoto che bussava alle porte, un virus di cui all’epoca si sapeva ancora molto poco. “Ho detto a Boeri, perché non fai una esposizione sullo sconosciuto”, racconta Vaudo. E alla fine eccola qui, a curarla lei. “Per me è una assoluta prima volta, io vengo da mondi diversi”, dice.
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Foto DSL Studio. Courtesy Triennale Milano
Un’astrofisica alla Triennale
Nel tempio del design meneghino Ersilia Vaudo è quasi un’apparizione aliena, sembra arrivare lei stessa da un’orbita extraterrestre come le cose che mette in mostra; amabile conversatrice, è capace di citare Leibniz, Barthes e Camus e subito dopo freddarti con una battuta di Woody Allen. Due sono le parole chiave della nostra conversazione, una è emozione, l’altra è matematica, e sottolinea più volte la necessità di studiarla. Con serena raffinatezza, con la sua cadenza suadente quasi ipnotica, evoca scenari da incubo interstellare, galassie che si mangiano a vicenda, soli che si spengono, per non parlare della fine prevista per il caro vecchio sistema solare (e la Via Lattea), spazzato via da un colossale tamponamento con Andromeda, che fino a ieri identificavo al massimo con il cavaliere dello zodiaco gender fluid per antonomasia – (sempre a proposito di diversity) –, non una sorta di Thanos dell’astrofisica che fa secco il mondo come lo conosciamo con uno schiocco di dita stellare che già sappiamo sarà inevitabile.
Fuori dalla comfort zone
L’ignoto non suona certo come un posto comodo, ma Ersilia Vaudo ha deciso di abitare fuori dalla comfort zone parecchio tempo fa, scegliendo la fisica. “Devi abbandonare le certezze se vuoi capirci qualcosa”, premette. Non è certo il regno del senso comune, la disciplina, e fenomeni come la dilatazione del tempo causata dalla gravità, o la perdita della terza dimensione dell’elio superfluido nella meccanica quantistica, lo dimostrano bene. Ma narrati da lei, sembrano poesia. Per Vaudo, la fisica è un racconto da condividere, un “momento di emozione e stupore”, e questo porta in Triennale, nel tempio del fare umano: la grande narrazione di ciò che degli umani non ha per nulla bisogno.
Nell’esposizione curata dalla Chief Diversity Officer di Esa, la diversità non poteva che essere un elemento cruciale. “Non volevo farne una polarizzazione, ma una ricchezza”, spiega. Qui artisti, musicisti e storici dell’arte corrono fianco a fianco con l’architettura e la scienza, “condizione per immaginare cose nuove e al tempo stesso emozione di vedere i sei gradi con cui vediamo le cose che diventano sette, otto o nove punti di vista”. Perché al cuore della questione dello sconosciuto, osserva Vaudo, c’è come lo guardiamo. E per sfuggire dalla facilità di rendere l’ignoto uno stereotipo, ma anche per mettere al riparo la “sua” mostra da qualsiasi scivolamento nel patronizing scientifico, Vaudo si affida appunto alla molteplicità, alla “convinzione che qualcosa di nuovo succede se metti insieme più punti di vista”. La diversità diventa così il punto di osservazione privilegiato su quel 95% dell’universo che non conosciamo.
Architettura extraterrestre
La pianta di “Unknown unknows”, il cui allestimento è stato disegnato da Space Caviar di Joseph Grima, ha la geometria di un’orbita semicircolare, con una griglia a terra che curva come lo spaziotempo. Per la realizzazione è stato impiegato materiale organico di scarto, proveniente dalla lavorazione del riso (fornito da un’azienda italiana specializzata, Ricehouse), poi “dato in pasto” in loco alle stampanti 3D di Wasp. Una scelta sostenibile, ma anche simbolica, perché ricalca il probabile approccio del nostro futuro costruire lontano dalla terra, “qualcosa che sta già succedendo” spiega Vaudo, menzionando gli esperimenti dell’Esa per l’uso della regolite lunare – che copre quasi l’intera superficie del satellite – come materiale per l’edificazione, senza dovere spostare materiali dalla Terra. L’astrofisica fa un parallelo inatteso chiamando in casa l’altro main curator dell’esposizione, Francis Kéré, e i suoi progetti in Africa che impiegano per costruire minime risorse locali.
“Si sta andando per restare”, dice Vaudo, quando si parla dell’architettura fuori dal nostro pianeta, che si dovrà confrontare con sfide inedite – prima di tutto, la variazione di gravità sulla Luna e Marte, che per chi si occupa di progettazione ribalta quasi tutti gli scenari. Una parte della mostra è dedicata proprio a questo tema. Colin Koop di SOM, designer di un villaggio lunare per l’Esa, ha preparato appositamente per l’esposizione internazionale un decalogo di regole per chi vorrà cimentarsi nello studio dell’architettura extraterrestre. Del resto il Lunar Gateway della Nasa è (quasi) il nostro presente, l’uomo su Marte entro il 2040 il futuro.
Courtesy Triennale Milano
Courtesy Triennale Milano
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Courtesy Triennale Milano
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Secondo Vaudo, il 3D printing cambierà il nostro modo di progettare. “Oggi banalmente lo associ a un modo per farti gli occhiali da sole di Dolce e Gabbana a casa”, esclama ironica, “in realtà la stampa 3D è un design completamente diverso”. Questo metodo di costruzione degli oggetti procede strato dopo strato, “come fa la natura”, sottolinea l’astrofisica, che mi mostra sul telefono le foto di uno strano utensile, dalle linee essenziali, quasi brutaliste, a metà tra le posate di Abloh per Alessi e un utensile accrocchiato in un qualche Fallout: un cacciavite realizzato all'Esa, ripensato attraverso un algoritmo, ridisegnato intorno ai punti di torsione e non in base a come noi immaginiamo debba essere un cacciavite.
Ma non solo, la stampa 3D servirà anche per “riparare” gli umani che visiteranno per primi Marte: Vaudo racconta delle sperimentazioni per ricostruire intere porzioni della pelle dei primi esploratori, che potrebbe bruciare a causa delle condizioni climatiche del pianeta. “L’ha detto anche Elon Musk, ‘will not be fun’”. Non sarà affatto divertente.
- “Unknown unknows”
- Ersilia Vaudo
- Space Caviar, Wasp
- Triennale di Milano
- 15 luglio - 11 dicembre 2022