Questo articolo è apparso originariamente su Domus 1060, settembre 2021.
Una delle idee abbandonate con la nascita del Moderno è quella dell’architettura come risultato di una stratificazione temporale. Prima dell’epoca moderna, nel vecchio mondo era normale che la costruzione di strutture imponenti come le cattedrali si protraesse per generazioni. Proseguendo in modo conforme e coerente il lavoro di chi li aveva preceduti, artigiani devoti contribuivano senza soluzione di continuità all’immagine di un piano generale da trasmettere alle epoche future, alimentando un processo di staffetta creativa. Negli spazi architettonici, la ricchezza di quel periodo ha consentito veri balzi creativi, ben visibili nell’evoluzione dal Romanico al Gotico nell’Europa medievale.
A volte, la profondità di un dialogo che trascendeva le epoche ha portato, quasi per caso, alla creazione di un mondo di bellezza. Il palazzo Katsura Rikyu, per esempio, è un complesso di edifici tradizionali giapponesi in cui stili diversi di epoche differenti coesistono pur sovrapponendosi. Tuttavia, nell’epoca contemporanea, iniziata in Inghilterra con la rivoluzione industriale, i benefici di quel tempo sono andati perduti nella ricerca della razionalità economica. Il Moderno ha delineato la ‘creazione’ come l’attività di costruire su un terreno scollegato dal passato. Valorizzando sopra ogni altra cosa il compimento dell’opera, il tempo eterno dell’architettura è scomparso. Le opportunità di maturazione o di metamorfosi architettonica sono state eliminate, lasciandoci con un monumento autonomo, che lentamente svanisce nel nulla.
Come architetti, non importa quanto siamo idealisti e fantasiosi: se non sono accettati dai clienti, i nostri sogni non si realizzano.
Il risultato è affascinante, ma inconsistente: un paesaggio moderno senza vita all’interno di un ambiente costruito che viene ripetutamente demolito e riedificato. Naturalmente, questo non vuol dire che nell’epoca moderna l’“architettura evolutiva” non abbia avuto modo di manifestarsi. La Sagrada Familia di Barcellona, simbolo di un’architettura eternamente incompiuta, è un esempio. Altri includono la città sperimentale di Arcosanti, costruita nel deserto dell’Arizona nel 1970, le Setouchi Art Islands, di cui Naoshima è il fulcro, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek, affacciato sul mare di Copenaghen, e altri ancora. Come una creatura animata, alcune strutture portano vita nel luogo in cui sorgono, generando e trasformandosi per dimostrare che può esserci una crescita organica e duratura.
In molti casi, la forza motrice di questi progetti non è il genio del creatore, ma piuttosto la passione e la visione del committente. Come architetti, non importa quanto siamo idealisti e fantasiosi: se non sono accettati dai clienti, i nostri sogni non si realizzano. Non abbiamo alcun potere. Tuttavia, anche nel corso della sfida insita nel realizzare l’architettura, dobbiamo costruire punto per punto. Alla fine, questi punti possono unirsi per diventare linee, e le linee superfici. Se non possiamo dare concretezza al progetto che immaginiamo, dobbiamo esaminare in profondità la richiesta e creare l’opera a modo nostro. Se non possiamo realizzare i nostri sogni all’interno delle logiche esistenti, dobbiamo iniziare a cambiare le logiche stesse, non rinunciando mai a riflettere e creare.
Immagine di apertura: Louisiana Museum of Modern Art, Denmark. Foto Maria Eklind su Flickr