Città post-covid, tra rivincita dei villaggi e iperconnettività

La crisi sanitaria sta portando con sé anche una ricomposizione del quadro urbano, da un lato per un fenomeno di svuotamento delle metropoli, dall’altro per la creazione di spazi sempre più virtuali.

Il sociologo Eric Charmes ha battezzato come “vendetta dei villaggi” [1] la tendenza degli abitanti delle città a trasferirsi fuori dal centro: una dinamica emersa già da alcuni anni nelle grandi città francesi così come in quelle italiane ma divenuta più forte negli ultimi mesi a causa dell’emergenza Covid-19 e del conseguente lockdown, che hanno messo in tragica evidenza gli svantaggi delle aree più densamente popolate in termini di rischio di contagio. In apparenza, questa tendenza apre inattese prospettive di sviluppo per i territori rurali, da tempo preoccupati dei crescenti divari di ricchezza e di crescita economica con le aree metropolitane, e ha portato molti sindaci di piccoli comuni a sviluppare politiche per attrarre nuovi residenti provenienti dalle città, in particolare giovani. Molte di queste iniziative, soprattutto nelle aree più marginali, sono però destinate a raccogliere pochi frutti: ad oggi, infatti, l’esodo dalle metropoli non si distribuisce indiscriminatamente in tutto lo spazio regionale, ma è anzi molto selettivo nei confronti dei luoghi. Chi scappa dalla metropoli è spesso la classe media, che non intende rinunciare al proprio stile di vita, fatto di consumismo ma anche di tempo libero e di socialità. E sulla difesa di questi “valori” si fonda il più delle volte la decisione di lasciare il centro, per sottrarsi alla congestione degli spazi e ai costi sempre meno sopportabili della grande città. Non si tratta quindi di una fuga, ma di un riposizionamento, le cui destinazioni privilegiate sono nelle aree verdi della cintura urbana, ma anche in territori più distanti se questi consentono un facile pendolarismo: le aree in cui negli ultimi decenni si è concentrata la crescita urbana nel Nord Italia sono proprio i “corridoi” lungo le arterie autostradali, costellati da città medie in cui avere a portata di mano servizi commerciali e attività culturali [2].

Cornello, BG. Foto Enrica Tancioni su Unsplash

Di fatto quindi la costruzione di nuove centralità e di nuovo urbanesimo è possibile solo nei luoghi dove si ha una buona accessibilità alle reti viarie e ferroviarie, e dove sono disponibili le infrastrutture informatiche che consentono di connettersi alle reti immateriali e sfruttarne appieno il potenziale, a partire dalle opportunità di telelavoro. I territori che non possono vantare queste dotazioni sono sempre più a rischio di marginalità, indipendentemente dal loro posizionamento geografico, col paradosso che la Costa Smeralda può essere considerata più connessa a Milano di quanto non lo sia Alessandria, perché la prima costituisce, anche grazie all’aeroporto di Olbia e alla buona rete di banda larga, un’appendice funzionale della città, mentre la seconda resta sostanzialmente un sistema autonomo, senza scambi consistenti di persone e informazioni con l’ambiente metropolitano.

A fianco di questa nuova frattura tra territori, si configura anche la minaccia di nuove disuguaglianze sociali: solo chi è in grado di utilizzare internet e le tecnologie della comunicazione digitale potrà essere pienamente cittadino della città del futuro, mentre gli analfabeti digitali avranno sempre più difficoltà. Nell’era della società dell’informazione [3], il “diritto alla città” si declina sia come diritto di accesso agli spazi fisici (e quindi ai servizi commerciali, sanitari, culturali, etc.) sia come diritto di accesso allo spazio informatico. Una parte importante del groviglio di relazioni e informazioni che è sempre stata la città si è smaterializzata, riorganizzandosi in quella che William J. Mitchell chiama la “città dei bits”, funzionalmente indistinguibile da quella reale ma sottoposta a regole diverse: non sono necessarie lunghe attese per ottenere un documento da un ufficio pubblico, si possono più rapidamente trovare offerte di lavoro, è più facile selezionare le offerte dei differenti venditori per uno stesso prodotto. Anche i rapporti sociali di vicinato e l’azione collettiva urbana si sono spostati in rete, tramite pratiche di community informatics [4] che applicano le tecnologie ICT al rafforzamento delle reti comunitarie locali: ne sono esempi sia le iniziative di animazione territoriale “dal basso” delle pagine facebook di quartiere e delle social street [5], sia esperimenti più istituzionalizzati di progettazione collettiva degli spazi urbani, come nel caso del processo inclusivo realizzato a Helsinki per la riqualificazione del parco pubblico dello Roihuvuori Youth Centre [6].

Sanremo, IM. Foto Oscar Nord su Unsplash

La ricomposizione del quadro urbano e comunitario in spazi virtuali pone a sindaci e urbanisti la sfida di ripensare i luoghi pubblici, per differenziarli e integrarli rispetto alle loro versioni digitali. Ma soprattutto richiede di affrontare le minacce di esclusione a cui sono esposte le categorie di cittadini che non sanno o non possono accedere alla rete: una parte rilevante della popolazione più anziana e più povera è già oggi a rischio di ulteriore emarginazione, tagliata fuori dai servizi online, dal telelavoro, dalle chat di vicinato. Progettare la metropoli del futuro significa quindi non solo garantire i servizi di mobilità e la banda larga, ma anche costruire politiche di inclusione che consentano a tutti di accedere alle funzioni urbane e civiche. Partendo dalle scuole e dalle biblioteche, che nella città dei bits possono trovare nuovi spunti per rinnovare il proprio ruolo di sostegno alla cittadinanza attiva e alla socializzazione.

Immagine di apertura: Vernazza, SP. Foto Benjamin Jopen su Unsplash          

  • Charmes E. (2019), La revanche des villages. Essai sur la France périurbaine, Seuil, Parigi
  • Garavaglia L. (2017), Città dei flussi. I corridoi territoriali in Italia, Guerini, Milano
  • Castells M. (2002), La nascita della società in rete, EGEA, Milano
  • Gurstein M. (a cura di), (2000), Community informatics: Enabling communities with information technologies, Idea Group Publishing, Londra
  • Dal virtuale al virtuoso, socialstreet.it
  • The value of Community Informatics to participatory urban planning and design: a case-study in Helsinki, Joanna Saad-Sulonen e Liisa Horelli, ci-journal.net