Dura dalle 6:00 del mattino del 27 febbraio 2020 l’occupazione della struttura che ospiterà il quotidiano Le Monde a Parigi. Alcuni locali al piano terra dell’edificio progettato da Snøhetta “accoglie” attivisti, sindacalisti e alcuni dei 30 migranti senza contratto né permesso di soggiorno che lavoravano alla costruzione dell’edificio per uffici.
La vicenda è stata documentata dall’architetto e editore parigino Léopold Lambert, che sulla rivista The Funambulist ha scritto una lettera aperta rivolta allo studio norvegese: “Circa 30 lavoratori senza documenti sono stati assunti da due subappaltatori (CICAD e Golden Clean) della quinta più grande impresa di costruzioni in Europa, la famigerata Eiffage, che è stata assunta da Le Monde per la costruzione della struttura in acciaio e della facciata del ‘vostro edificio’.”
Nella petizione firmata da centinaia di architetti, ricercatori e attivisti da tutto il mondo – tra cui compaiono alcuni contributor storici di Domus – si richiede la regolarizzazione, il pagamento equo e migliori condizioni per i lavoratori. Lambert chiede a Snøhetta di dichiarare apertamente qual è la sua posizione, in quanto: “in qualità di architetti della sede di Le Monde, fate parte dei soggetti politicamente responsabili delle condizioni di lavoro in cui si concretizza il vostro progetto.”
A questa lettera ha risposto Kjetil Trædal Thorsen, fondatore dello studio, che su Le Monde afferma: “Siamo rattristati e presi alla sprovvista dalla notizia della situazione del personale addetto alle pulizie nel cantiere della sede centrale del Gruppo Le Monde. Supportiamo le rivendicazioni del personale per un trattamento equo e chiediamo un accordo che garantisca il rispetto delle norme di lavoro. (...) Continueremo a fare del nostro meglio per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori. Questo incidente ci ricorda che sia noi che l'industria edile dobbiamo lavorare ancora di più per evitare un trattamento ingiusto dei lavoratori, sia oggi che in futuro.”
Le trattative tra aziende e lavoratori continuano, ma con scarsi risultati. Le proteste pacifiche degli occupanti non sembrano essere ascoltate dalle aziende, tanto che da oggi i manifestanti proveranno a bloccare l’intero cantiere.
Non è la prima volta che il mondo dell’architettura si confronta con i diritti dei lavoratori. Un esempio è stato il cantiere dell’Al Janoub Stadium in Qatar, completato lo scorso anno da Zaha Hadid Architects, in cui molti lavoratori migranti hanno perso la vita a causa delle condizioni di lavoro pessime. Nel febbraio 2014, l’architetta iraniana aveva attirato a sé molte critiche dopo aver dichiarato al Guardian: “Cosa dovrei fare a riguardo? Non la prendo alla leggera, ma penso che sia compito del governo cercare di rimediare. Non è mio dovere di architetto occuparmene.”
Di questi temi si occupa Who Builds Your Architecture?, un collettivo di architetti e attivisti newyorkesi che indaga “i collegamenti tra lavoro, architettura e reti globali che si formano intorno agli edifici.”
Più recente è invece il caso #archishame, scoppiato nel giugno 2019 in occasione della presentazione dell'ultimo Serpentine Pavillion, progettato da Junya Ishigami. Incalzato per non aver pagato i tirocinanti che lavoravano alla prestigiosa commissione, l’architetto giapponese ha poi corrisposto il compenso dovuto ai suoi dipendenti e dichiarato che pagherà tutti gli architetti del suo studio, superando la radicata “tradizione” di non pagare i tirocinanti.
Il cantiere della sede di Le Monde ci ricorda di quanto sia importante considerare anche la sostenibilità sociale degli edifici, e che ogni singolo tassello del processo di costruzione deve rispettare i principi di equità e rispetto. Secondo il nuovo direttore di Domus, David Chipperfield “dovremmo vedere il nostro momento come un’opportunità per ristabilire le priorità, per considerare come possiamo riposizionare la pratica dell’architettura e il suo ruolo nella società. Ciò non avviene sacrificando il potenziale fisico e formale dell’architettura, o anche la sua importanza rappresentativa, ma focalizzando l’innovazione, la ricerca e l’immaginazione in un modo più responsabile, celebrando l’infrastruttura sociale piuttosto che la spinta commerciale, e collaborando come cittadini.”
“Disuguaglianza sociale, sostenibilità ambientale e, collegato alle prime, il problema della comunità, il fatto che abbiamo eroso l’importanza fondamentale della comunità”: questi sono gli argomenti che l'architetto inglese affronta nei numeri della rivista per tutto il 2020. Abbiamo più che mai bisogno di voci critiche che ci educhino alla complessità. Lavoriamo affinché anche in architettura etica ed estetica possano convergere in una nuova unità.
È possibile leggere il testo integrale della lettera aperta e della risposta di Snohetta al sito www.thefunambulist.com