Mariam Kamara, cresciuta in Niger con una formazione da sviluppatrice di software, ha aperto il suo studio d’architettura Atelier Masōmī nel 2014. I suoi progetti danno un contributo che va “oltre l’architettura” in un atteggiamento di promozione sociale che ha la capacità di elevare, di dare dignità e di fornire una miglior qualità della vita. Nota per interventi come Niamey 2000, il complesso religioso e laico Hikma e il Mercato regionale di Dandaji, recentemente completato (pubblicato su Domus 1036, giugno 2019), il suo studio si dedica alla sperimentazione sui materiali, unendo tecniche antiche e nuove tecnologie, con l’aiuto di pochi fedeli costruttori che abbracciano a pieno la filosofia di ogni progetto. “Il nostro studio è un luogo di sperimentazione, con meno disegni e più modelli”, spiega Kamara. “I nostri impresari edili e gli artigiani sono degli amici: facciamo tutti parte della stessa squadra. Di fatto investiamo molto su di loro, in termini di formazione. Ogni volta che lavoriamo un progetto e c’è una lacuna di competenze, investiamo in formazione su quelle competenze, accertandoci che imparino tutto quel che serve. Oggi come oggi senza di loro non possiamo far nulla.”
Mariam Kamara: Non usiamo la conoscenza che possediamo, che è antica di secoli
Intervista con l’architetta del Niger Mariam Kamara, nota per i suoi edifici equilibrati che utilizzano artigianato, materiali e tecnologia locali.
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- Marianna Guernieri
- 10 giugno 2019
Foto James Wang
Planimetria generale
Sezione
Foto Maurice Ascani
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Pianta
Sezione
Unità
Foto ©united4design
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Pianta piano terra
Pianta primo piano
Quali sono i rischi e quali le occasioni di lavorare in Niger?
Credo che, per fortuna, ci siano più occasioni che rischi. I rischi sono reali, e si sa che dipendono dal fatto che, in realtà, con la formazione ricevuta nel mondo occidentale, lì parecchi dei servizi di cui si ha bisogno e molte delle risorse necessarie rispetto alla formazione ricevuta non sono disponibili. Perciò, in certo qual modo, bisogna più o meno inventarsi un modo di lavorare e adattare la propria formazione al luogo in cui ci si trova, e ci vuole un po’ di tempo per elaborare un processo in quel sistema. Stiamo ancora verificando di poter mantenere certi standard, sapendo ciò che abbiamo a disposizione.
Che cosa pensi dell’evoluzione dell’architettura nigerina nei prossimi anni?
La scena dell’architettura locale sta iniziando a concentrarsi maggiormente sui temi della sostenibilità e a fare più attenzione ai materiali, in una direzione decisamente positiva. Fino a oggi ci siamo limitati a mettere in opera sistematicamente qualunque materiale trovassimo da qualunque parte. Oggi ci stiamo rendendo conto di quel che abbiamo qui. Il futuro si presenta molto brillante, il paese si sta sviluppando dal punto di vista economico e sta investendo in infrastrutture – scuole e mercati – e in progetti culturali. Oggi la libera disponibilità dei saperi fornisce moltissime fonti d’ispirazione, permettendo a molti architetti di mettersi in luce. È un momento davvero interessante, si ha la sensazione che non esistano limiti e che oggi si possa sognare di tutto.
Il futuro si presenta molto brillante, il paese si sta sviluppando dal punto di vista economico e sta investendo in infrastrutture e in progetti culturali
Come si evolve l’architettura sostenibile in Africa, che futuro ha?
La parola ‘sostenibilità’ non suona più bene, perché ha finito per diventare tecnologia e tutte queste cose tanto di moda, come i pannelli solari e via dicendo, che in realtà non sono realmente sostenibili per il resto del mondo. Sono sostenibili solo per una piccola parte del mondo e sono anche incredibilmente costosi. Mi piace pensare alla sostenibilità in termini di “sostenere le persone”: se si sostengono le persone è probabile che si sostenga anche l’ambiente. Quando si sostengono le persone economicamente, per esempio usando materiali locali, si aiuta anche l’ambiente, è una cosa migliore per il luogo in cui si vive ed è più economicamente conveniente.
Quando parliamo di creare un ambiente positivo che sia inclusivo o sia in qualche modo efficace dal punto di vista sociale, questo fatto crea anche un certo livello affettivo, le persone diventano anche più rispettose dell’ambiente. Ci siamo accorti di questo comportamento nel nostro progetto di un mercato a Dandaji dove, fin dal primo giorno d’apertura, tutti quanti si riunivano per decidere come dovevano esser fatte la manutenzione e la pulizia, discussione mai avvenuta prima. La gente si affezionava a quel che gli veniva dato al punto da preoccuparsi di mantenerlo immacolato, ed era una cosa che ci sorprendeva. Per cui anche questo era un contributo alla sostenibilità, in certo qual modo. Insomma, ci sono moltissimi modi più semplici e più approssimativi di arrivarci, certamente nei paesi africani non credo che la sostenibilità sia qualcosa di misurabile in termini di certificazioni.
Tu fai grande uso dei saperi locali. I saperi locali stanno più o meno scomparendo, e con essi secoli di buone pratiche che usavano l’artigianato tradizionale per ottenere soluzioni architettoniche eccellenti.
È vero. Anche in termini di durata, sai? Le cose che facciamo oggi non durano. Dopo vent’anni un edificio deve essere demolito perché in realtà lo facciamo costare poco. Non usiamo la conoscenza che possediamo, che è antica di secoli. Perché rompere con il passato? Possiamo farlo progredire. Possiamo aggiungergli della tecnologia, possiamo migliorarlo in termini di resistenza, in termini di un sacco di cose diverse, e possiamo migliorare le tecniche. Ma in qualche modo cerchiamo sempre di rompere questi ponti… il che francamente è difficile da capire. Non è che io attribuisca un valore a questa cosa.
Per me ha avuto molta importanza non solo imparare dagli artigiani locali ma anche cercare di pensare realmente insieme a loro, lavorare insieme a loro e cercare di capire che cosa fare, come far meglio le cose, come progredire. Forse loro di solito facevano le cose in un certo modo, a certe scale, e possiamo analizzare la scala di quello che fanno normalmente, che è molto appassionante. Nel farlo affrontiamo dei problemi tecnici e dobbiamo trovare una soluzione che faccia progredire certe competenze, è molto semplice e molto più interessante.
Mi piace pensare alla sostenibilità in termini di “sostenere le persone”: se si sostengono le persone è probabile che si sostenga anche l’ambiente
In Niger c’è un interesse diffuso per questi aggiornamenti delle tecniche tradizionali tramite la tecnologia?
Penso che l’idea non si sia ancora consolidata. Ma c’è molta curiosità. Credo che più progetti andranno in questa direzione, più le persone se ne renderanno conto. Incrociamo le dita.
La tua architettura è molto nitida, ben leggibile e collegata con la tua attività, in termini di forma, di materiali e di equilibrio.
Credo di essere una persona molto semplice. Non amo le cose complicate. Mi piace che le cose siano chiare, mi piace che le cose siano semplici. Le cose eccessivamente complicate sono sopravvalutate. Personalmente sono razionale e, insieme con il fatto che l’ambiente in cui sono cresciuta era molto razionale, anche l’architettura del luogo è molto razionale. Anche se c’è qualche elemento decorativo l’architettura è leggera, molto semplice ma molto elegante, ed è questa la direzione in cui cerco di andare, una cosa che abbia un’anima ma che sia decisamente molto semplice.
Perché rompere con il passato? Possiamo farlo progredire. Possiamo aggiungergli della tecnologia e migliorarlo
I tuoi interni sembrano riflettere lo spirito di cui parli. Quali sono le qualità che un interno deve possedere?
Credo che in un interno siano importanti le atmosfere semplicissime, per esempio come quando mettiamo in rilievo i soffitti. Ma ha anche molto a che fare con la manipolazione, come manipolare la luce in un paese dove la luce è decisamente dura. Perciò gli interni, per essere morbidi, non possono avere grandi finestre con tutta la luce che ci entra. È un gioco che consiste nel filtrare la luce e creare negli interni un effetto e una atmosfera particolari. Deve dare una sensazione di quiete, sono costantemente alla ricerca di un rifugio, per sfuggire al calore e a ogni altro problema di vita.
Qual è il tuo progetto ideale?
Ma sai che non ne ho?! Il progetto che voglio è il progetto che arriva con i committenti che condividono gli stessi ideali, le stesse aspirazioni che ho io. Il che rende i rapporti professionali molto più facili: si sogna insieme, ci si appassiona insieme, si dà maggior valore al luogo. Non solo qualcosa di bello da guardare, ma qualcosa che abbia un senso per chi lo userà. Questa combinazione dà sempre un progetto straordinario, quale che ne sia la tipologia. Non faccio molta attenzione alla tipologia, ma piuttosto al processo e all’atteggiamento. È per questo che non ho un progetto dei miei sogni.