A poco meno di 10 km di distanza da Agrigento, Favara è una cittadina di circa 30 mila abitanti con un centro storico già abitato in epoca preistorica, dove si sono incontrate e mescolate generazioni di greci, arabi, normanni e spagnoli. Un centro che, fino a qualche anno fa, cadeva però letteralmente a pezzi.
E proprio a seguito del crollo di una palazzina, dove nel 2010 muoiono le sorelline Bellavia, nasce l’azione di riscatto del notaio Bartoli e dell’avvocato Saieva, anche loro genitori di due bambine, già collezionisti d’arte, da tempo desiderosi di far qualcosa per fermare l’abbandono e la marginalità della loro città.
All’azione di demolizione preventiva voluta dall’amministrazione, la famiglia Bartoli contrappone un progetto di rinascita attraverso il recupero dell’esistente. Un progetto di cura e di possibile altra economia: un modello di sviluppo in cui (abbandonata l’idea di un Sud che debba crescere colmando il gap di industrializzazione rispetto al Nord) si immagina una rinascita affidata alla specificità del territorio, al suo intreccio di natura e storia, alla ricchezza di sapori e tradizioni. Il tutto illuminato dalla luce dell’arte contemporanea, al centro del programma funzionale di FARM (galleria, ma anche luogo di produzione artistica, residenza per giovani artisti, spazio per workshop e didattica), ma soprattutto alla base di una valorizzazione estetica capace di mostrare in modo nuovo le rovine, come parte di un paesaggio complesso e stratificato, aperto all’interpretazione e alla trasformazione.
Un modello di crescita in cui la dimensione di rete scardina la logica centro-periferia perché il locale vive attraverso un’esposizione mediatica globale: digitando FARM Cultural Park su Google si ottengono quasi 3,5 milioni di link in meno di un secondo: sono immagini, video, articoli su Wired, Vanity Fair, Lonely Planet, The Guardian e molto altro.
Certo, alla base del progetto ci sono una iniziativa e un investimento personale, una coppia di mecenati che hanno deciso di investire qui e in questo modo i propri soldi, ma in realtà da subito la chiave del progetto è la sua dimensione comunitaria e la voglia di fare le cose in prima persona, con chi vuole essere coinvolto e partecipare, con chi vuole mettere a disposizione il suo tempo e il suo talento.
FARM cioè è davvero un’officina, un cantiere di innovazione sociale: uno spazio in cui una comunità di cittadini e di creativi elabora in prima persona problemi e strategie di intervento, cercando di massimizzare le risorse, di riusare, rigenerare, reinterpretare, rivitalizzare, coltivare. Per esempio, sul progetto delle galleria principale, FARM-XL, Salvator-John A. Liotta (grazie alla sua origine favarese parte integrante del gruppo promotore di FARM e autore del progetto insieme a Vincenzo Castelli) scrive: “diverse unità edilizie informi e affastellate, sono state rese spazio continuo e organico grazie all’abbattimento delle cortine murarie che le separavano, permettendo così di liberare gli spazi, adesso attraversati da percorsi di visita liberi e non gerarchici e aperti alla luce naturale con grandi vetrate.”
E per dare una prima risposta ai donatori, si è deciso di aprire una sezione del museo trasformando parte della galleria XL per ospitarvi SOU, la Scuola di Architettura per bambini. Salvator-John A. Liotta (con il suo studio Laps Architecture diretto insieme a Fabienne Louyot) ha realizzato l’allestimento attraverso delle micro-casette da utilizzare come banchi e ambienti di studio e attività per i bambini. Nell’aula video una pedana colorata fa al tempo stesso da tribuna e da dispositivo ludico. Le pareti sono completamente rivestite da una narrazione grafica realizzata da Maria Pia Bartoli Felter. Un’aula per esposizioni temporanee ospita adesso Emotional Utopia, un’installazione grafica e sonora dell’architetto Francesco Lipari e del filosofo Luca Mori. E come ultimo ambiente della scuola, è stato realizzato un orto, con la collaborazione di Charles M. Yurgalevitch, direttore della scuola di Orticultura di New York.
Andrea mi spiega che la scuola/museo sarà strutturata per moduli didattici o esperienze: un formatore introdurrà un tema e poi i bambini avranno un tempo per “realizzare materialmente un disegno o un piccolo prototipo e poi per presentare le proprie idee”.