Annamaria Prandi: I tredici progetti in mostra al padiglione del Belgio mostrano come la bravura sia una qualità diffusa nelle Fiandre. Siamo di fronte a una nouvelle vague?
Jan De Vylder: Non parlerei di “vague”. Il termine onda mi ricorda il vento, che va e viene, mentre l’architettura fiamminga non si trova ora a un punto più alto di quello al quale si trovava negli anni passati. La questione è che a un certo punto si sono accesi i riflettori sul nostro lavoro, e questo ci onora e ci fa piacere, ma questi riflettori un giorno si spegneranno, e noi continueremo a fare quello che facciamo ora e che abbiamo sempre fatto. Quello che mi auguro del lavoro fatto qui a Venezia è di aver allargato la scena fiamminga invitando qualche nome ancora sconosciuto.
Annamaria Prandi: Dove sono le radici di questa maestria?
Jan De Vylder: Credo che la caratteristica peculiare della architettura fiamminga sia il suo essere estremamente vicina all’uomo e ai suoi bisogni. Questo la rende unica, seppur nella diversità di accezioni che l’uomo inevitabilmente porta con sé e che si riflettono nel lavoro dei singoli studi. È il legame con le persone che genera una grande diversità e insieme una certa riconoscibilità. Un edificio da noi è da sempre un’istanza molto personale.
Annamaria Prandi: Qual è il ruolo dei clienti in questo scenario?
Jan De Vylder: Il ruolo dei clienti è fondamentale. Quando si lavora per il pubblico si ha a che fare con i Baumeister, figure preparatissime, di grande spessore e sensibilità. In generale comunque, anche lavorando per i privati, l’architetto ha la sensazione di avere il cliente al proprio fianco. È indubbio che ciò garantisca agli architetti di agire con la libertà di essere compresi e con la profondità di un dialogo proficuo. La Bravoure senza di loro non sarebbe possibile.