Nella mostra del curatore alla Biennale di Architettura, lo studio di Liu Jiakun presenta People Mountain People Sea, a celebration of daily life, una grande architettura urbana per la collettività.
Nella smodata crescita della città cinese assistiamo a un marginale, ma crescente, rifiuto da parte della migliore cultura architettonica locale dei modelli di crescita urbana prevalenti e a proposte che rilanciano sulla possibilità di rinnovare la vita collettiva.
Di solito gli insediamenti urbani contemporanei in Cina crescono e si sviluppano sostanzialmente in una alternanza di due parti distinte: i quartieri degli edifici intensivi alti destinati agli alloggi che ottimizzano la crescente necessità di case, secondo un vago riferimento al modernismo a metà tra impostazione socialista e costruzione in altezza filo-americana; i luoghi destinati alle funzioni collettive e della mobilità urbana, in cui la qualità dello spazio pubblico è affidata a parchi e giardini, spesso costretti in un suolo urbano prevalentemente devoluto alle auto oppure mortificato dai centri commerciali globalizzati.
Tra le possibili alternative a questo modello spicca quella di Jiakun Architects, che presenta presso il padiglione centrale della Biennale di Venezia, il progetto People Mountain People Sea, a celebration of daily life. Il progetto di Liu Jakun, attivo in Cina dalla metà degli anni ’90, rappresenta uno straordinario tentativo di trovare una forma adatta alla vita della collettività e alla necessità delle comunità urbane di condividere spazi ricreativi.
West Village a Chengdu è un edificio complesso che occupa un grande isolato di 237x178 metri, raggiungendo un’altezza massima di 24 metri, e definisce una sorta di recinto-promenade, a spessore variabile, e abitabile a differenti quote. Questo bordo costruito accoglie, nel suo spessore variabile, funzioni legate alla vita collettiva e al tempo libero e un sistema di passerelle e percorsi pedonali che arrivano fino alla quota della copertura, attraverso ponti, padiglioni e piattaforme. L’edificio cinge un’area interna che include campi sportivi, una grande conca verde, case da te, cortili di bambù e spazi più intimi. Un edificio-città aperto ad accogliere un’ampia gamma di funzioni commerciali e ricreative, e capace di definire un luogo urbano pieno di vita; un vero e proprio “fatto urbano”, per usare la perfetta definizione di Aldo Rossi per nominare le architetture della città.
La costruzione del complesso urbano ha perseguito una strategia di utilizzo di materiali e sistemi low-tech ed economiche, anche attraverso l’uso rinnovato di materiali della tradizione come mattoni riciclati e rigenerati per i rivestimenti e le pavimentazioni, e bambù a elevata resistenza per i corrimani. Il sito del progetto si trova all’interno di una comunità residenziale popolosa, la percentuale di copertura costruita, pari al 40% dell’aerea disponibile, ha comunque garantito la possibilità di realizzare una combinazione di diversi tipi di spazi pubblici, con un layout – come sottolinea l’autore – centrifugo, in opposizione alle logiche centripete tipiche dei centri commerciali.
Anche l’allestimento del progetto all’interno dello spazio della Biennale, restituisce la ricchezza e generosità del progetto. Un modello in legno all’interno di un recinto metallico descrive non solo la volumetria monumentale del complesso, ma ne restituisce in modo ludico il funzionamento: infatti lasciando rotolare delle biglie metalliche sulla copertura è possibile intuire la ricchezza di percorsi di questo edificio-promenade, dalla copertura fino al suolo attrezzato.