La mostra “Provocations” all’Hammer Museum di Los Angeles offre un panorama esauriente delle varie scale d’intervento di cui si è occupato il designer britannico Thomas Heatherwick.
Prima che diventassero importanti, lei già li conosceva. Brooke Hodge, vicedirettrice del Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum di New York, si è interessata per la prima volta al lavoro di Thomas Heatherwick nel 2002, quando le consigliarono di visitare l’allora piccolo studio, attivo da otto anni.
Dopo anni di attenta osservazione e l’inclusione di un’opera di Heatherwick nella stupenda mostra del 2006“Skin+Bones: Parallel Practices in Fashion and Architecture”, di cui era curatrice, Hodge concepì nel 2008 l’idea di una mostra americana tutta dedicata a Heatherwick. Ciò accadeva prima che Heatherwick diventasse celebre per i suoi successi su scala mondiale, come il padiglione britannico dell’Expo di Shanghai del 2010, l’Olympic Cauldron per le Olimpiadi di Londra del 2012 e il nuovo autobus urbano di Londra.
A suo parere, Heatherwick allora non era psicologicamente pronto a una mostra personale negli Stati Uniti: non era certa che, sull’altra sponda dell’oceano, avesse un pubblico abbastanza numeroso. Oggi l’Heatherwick Studio conta un gruppo di 160 designer, architetti e creativi, e quanto all’altra riva dell’oceano, la questione potrebbe essere magari quella di progettare un nuovo genere di ponte.
All’Hammer Museum di Los Angeles ho di recente visitato la traccia materiale di tutti gli anni di lavoro tra Hodge ed Heatherwick. La mostra “Provocations: The Architecture and Design of Heatherwick Studio” è un panorama esauriente delle varie scale d’intervento di cui si è occupato fino a oggi lo studio. La mostra resta aperta all’Hammer fino al 24 maggio (con una conferenza di Heatherwick il 30 aprile) prima di trasferirsi al Cooper Hewitt di New York il 24 giugno. In precedenza “Provocations” aveva fatto tappa al Nasher Sculpture Center di Dallas, promotore della mostra.
Passando da uno Stato all’altro “Provocations” cambia significato e peso, e perfino composizione, dato che l’Heatherwick Studio continua a crescere e ad aggiungere nuovi progetti al sommario della mostra. Annunci importanti hanno reso più urgente la rassegna: prima tra tutte la grande notizia che Heatherwick progetterà l’attesissimo parco litoraneo Pier55 di New York e che lavorerà con BIG al nuovo complesso Google di Mountainview, in California. Il ritmo della mostra va di pari passo con quello dello studio: caratteristica inconsueta che si è delineata intorno alla natura imprevedibile dell’opera che la mostra presenta e analizza. Non si tratta di una mostra retrospettiva su una carriera, ma di una mostra che presenta uno studio che avanza, aperto al cambiamento.
L’architettura e il design lasciano molte situazioni aperte nel percorso di chi cerca di imbrigliarli; certi progetti vengono tenuti in sospeso, altri si sviluppano in forme insospettate e lungo la strada ne spuntano all’improvviso di nuovi. Il passo dell’architettura raramente viene definito “rapido”, specialmente a paragone di altre discipline creative, ma le idee e le ambizioni che si sviluppano intorno all’architettura e al design spesso sono fulminee. “Provocations” offre ai visitatori un’occasione unica di rendersi conto di questa differenza dei ritmi dell’invenzione. La mostra permette al costruito e al non costruito di nutrirsi l’uno dell’altro, e a opere di scala differente di parlare dallo stesso palcoscenico: dopo tutto tra i biglietti d’auguri natalizi disegnati dallo studio e il padiglione della Gran Bretagna un rapporto c’è.
All’Hammer, dove l’allestimento di “Provocations” aveva anche la supervisione del curatore Aram Moshayedi, la scelta delle opere di Heatherwick sta in un’unica sala. In altre parole una storia complessa è immediatamente visibile su un’unica pagina. Nella prossimità dello spazio i salti e le rotture tra gli estremamente vari progetti di Heatherwick saltano agli occhi. La presenza fisica della mostra comunica la precisa impressione di un’attività professionale dinamica, in cui più idee esplodono contemporaneamente. Uno sguardo più attento svela che ogni pannello esplicativo in realtà viene presentato in forma di domanda: “Si può migliorare un autobus londinese e diminuirne del 40 per cento il consumo di carburante?” “Come si può rendere più rapido il montaggio di un’edicola?” “Come inserire un nuovo edificio nell’atmosfera di un vecchio, affollato quartiere di Hong Kong?”
Nel testo introduttivo la mostra sottolinea il ruolo fondamentale del Rolling Bridge, presso la stazione londinese di Paddington, nell’opera di Heatherwick: il primo progetto che nel 2004 ha attirato davvero l’attenzione internazionale, dopo questa accoglienza iniziale è possibile (ma non obbligatorio) visitare la mostra in ordine cronologico e seguire anno dopo anno il racconto dell’Heatherwick Studio. Molto più interessante e particolare, tuttavia, è considerare la mostra come una straordinaria rete di risposte che si estendono attraverso la sala in risposta alle domande formulate dai pannelli (e naturalmente dallo studio). Modelli, fotografie, materiali e oggetti che compongono la mostra non sono sempre risposte complete, ma soddisfacenti sì, a dimostrazione dell’ottimistico concetto che le buone soluzioni sono quelle fluide, in grado di adattarsi alla novità o alla variazione delle domande.
Nel nostro incontro a New York Hodge ha osservato che, generalmente, il pubblico “comprende quel che pittori e scultori fanno per creare le loro opere, ma non necessariamente ciò che gli architetti fanno per progettare gli edifici”. Il metodo della domanda, che dà luogo a molta sperimentazione e a qualche risposta, è esso stesso una rappresentazione del processo progettuale. Per Hodge era anche importante che i modelli non venissero schiacciati contro le pareti: “Volevo che li si potesse osservare da ogni lato, perché è questo il modo in cui si vive un edificio [o un oggetto] nella vita reale”. La stessa struttura della mostra, per quanto lievemente differente in ciascuna delle città in cui fa tappa, permette sempre ai visitatori di fermarsi su ogni lato e di vedere “collegamenti attraverso la sala e tra progetti differenti reciprocamente connessi”, afferma Hodge. “Così le persone iniziano anche a fare i propri collegamenti personali.”
La mostra ha fatto l’abitudine a un certo grado di elasticità. Provocations era già decisamente in atto quando Heatherwick venne scelto per realizzare l’Olympic Cauldron nel 2012 e il Victoria and Albert Museum di Londra propose allo studio l’idea di una mostra in occasione dei Giochi olimpici. “Provocations” venne rimandata di due anni. In quel periodo tanto lo studio quanto la mostra vissero una crescita straordinaria, così come la notorietà mondiale di Heatherwick. “Se mi fossi rivolta a lui oggi, avrei dovuto entrare in concorrenza con un milione di altri curatori nel tentativo di fargli fare una mostra”, afferma Hodge.
Jeremy Strick, direttore del Nasher Sculpture Center, commenta la mostra retrospettivamente, dato che si è trasferita da Dallas all’inizio di gennaio. Premette un argomento che già conoscevamo: “Spesso le mostre d’architettura attirano un pubblico limitato”, composto in genere di persone che hanno già un rapporto con l’architettura e con il design. “Heatherwick sotto questo aspetto è molto diverso”, dice Strick. Definendo la mostra “un grande successo” mi spiega che “non solo ha attirato moltissimo pubblico, ma molti sono tornati più volte a visitarla”. La conferenza che Heatherwick ha tenuto al Nasher è stata “una delle più frequentate” che l’istituto abbia mai visto. Tra il pubblico molti non avevano una gran conoscenza precedente del tema, afferma Strick. E allora come spiegarne il successo?
“Quel che sono riuscito a capire è che Heatherwick rappresenta un modo di pensare, un’impostazione e una capacità inventiva che molti trovano suggestiva, al di là dei loro interessi specifici”, afferma. “Il pubblico ha reagito alla mostra in modo decisamente emotivo.” In altre parole la mostra ha provocato una reazione umana.