Effetto materia

L’analisi dei materiali da costruzione contemporanei di quattro architetti americani—Steven Holl, Michael Maltzan, Thom Mayne e Richard Meier—rivela tecniche complesse e variegati effetti spaziali, ottenuti grazie alla stretta collaborazione con le aziende produttrici. In questi studi, il portfolio materiali è stato sostituito dal laboratorio materiali.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 968, aprile 2013

Scoraggiati dall’esubero di prodotti che invadono le fiere del settore edile, abbiamo deciso di dare un’occhiata al portfolio materiali di quattro architetti statunitensi — Steven Holl, Michael MaltzanThom Mayne e Richard Meier — per avere una visione più precisa di quanto esso incida sulla loro architettura. Ci ha sorpreso constatare come, tra questi architetti, alcuni non conservino alcun portfolio materiali, mentre quelli che ne dispongono sembrano farne scarsissimo uso. Se un normale edificio è spesso un insieme di prodotti e materiali standardizzati, gli architetti con cui abbiamo parlato preferiscono usare la tecnologia e le risorse delle industrie del settore per realizzare composizioni di elementi costruttivi del tutto originali. Queste soluzioni, messe a punto in collaborazione con le aziende, sono concepite in stretta relazione con gli specifici effetti spaziali, organizzativi e percettivi che muovono da una precisa visione architettonica. In realtà, gli archivi tradizionali contengono solo soluzioni superate, inadeguate perciò alle circostanze specifiche di nuovi progetti.

In apertura: prototipi in argilla, stampati e gettati per una maniglia sviluppata da Maltzan per la residenza Ovitz. Il manico cavernoso è stato progettato per sottolineare il suo ruolo di intermezzo spaziale tra due stanze. Photo Ramak Fazel. Qui sopra: pietre pastello, piastrelle in ceramica ondulata e calcestruzzo prefabbricato riempiono una delle tante sezioni dell’archivio materiali. Photo Yoo Jean Han

L’approccio alla costruzione varia in modo considerevole da architetto ad architetto. Holl usa il sito e le condizioni contingenti per generare invenzioni architettoniche uniche. Maltzan si serve dei materiali pensando alla percezione dinamica dei limiti spaziali, e nel far questo conferisce profondità a superfici estremamente sottili e cangianti. Mayne è alla costante ricerca di una “casualità biologica”, e costruisce forme ‘crude’ e non ripetitive. Con una carriera più lunga alle spalle, Meier sta sviluppando un sistema di pannelli a griglia rettilinea, bianchi e resistenti nel tempo. Tra le molte differenze, tuttavia, abbiamo riscontrato elementi di convergenza. Holl, Maltzan, Mayne e Meier condividono un interesse generale ad accentuare la profondità delle superfici e a catturare le variabili ambientali. I metodi con cui ottengono questi risultati variano notevolmente e comprendono la costruzione di superfici riflettenti, trasparenti e stratificate. Cosa ancora più importante, questi architetti non sono interessati ai prodotti fabbricati in modo seriale dalle industrie, ma preferiscono avvalersi della disponibilità di aziende pronte a funzionare da laboratorio e a mettere a disposizione processi produttivi, materie prime e competenza professionale allo scopo di realizzare soluzioni specifiche per ciascun progetto. Se le aziende produttrici di materiali da costruzione ne tenessero conto, le fiere di settore potrebbero cominciare ad assomigliare più allo studio di questi architetti che a showroom puramente commerciali.

Steven Holl nel suo ufficio di New York. I suoi schizzi sono organizzati cronologicamente così da poter rintracciare qualsiasi disegno grazie alla data in cui è stato fatto. Photo Yoo Jean Han

Steven Holl Gli ingredienti dell’architettura di Steven Holl, così diversi e sofisticati, riflettono il suo profondo interesse per la sperimentazione continua. “Se fossi uno chef, userei tutti gli ingredienti possibili. Di certo non cucinerei la stessa pasta tutti i giorni”. Le specifiche dei suoi progetti rivelano particolari che ricordano una ricetta ricercata: rame patinato, vetro curvato, terrazzo alla veneziana liquido, Shotcrete, alluminio alleggerito, Cabreuva Vermelha.
Il suo associato Chris McVoy sottolinea come l’“indirizzo sperimentale dello studio spesso richieda un assemblaggio di materiali non ancora collaudato, il che dà avvio all’arduo compito di scoprire come può essere realizzato tecnicamente”. Essendo la luce il “materiale fondamentale” impiegato da loro, la materia è trattata in modo tale da poter controllare gli effetti luminosi desiderati e il modo in cui la luce stessa risuona con l’atmosfera. Nel Maggie Centre di Londra, per esempio, lo scopo è “introdurre il colore nel cuore di un muro esterno trasparente” per ottenere “la qualità di una luce sfocata, come filtrata dal ghiaccio”. Ciò ha condotto lo studio e Okalux a studiare un nuovo metodo di stampaggio a colori su un assemblaggio di vetro intagliato con isolamento capillare. Altri esempi comprendono “tingere il cemento per ricavare lucentezza e tonalità”, spazzolare l’alluminio per “catturare l’immagine del cielo sulla sua superficie”, e “immettere aria in una fusione di alluminio riciclato per ottenere una texture a bolle e variazioni di lucentezza”.

L’archivio materiali nella sede dello studio di Steven Holl a New York è pieno di tipi diversi di vetro, metalli alleggeriti e schiume

In molti casi, concentrandosi sulla genesi specifica di un sito e di un programma, lo studio elabora invenzioni architettoniche originali, in grado di risuonare con il contesto. All’Herning Museum of Contemporary Art, la tradizione tessile legata al luogo, assieme alla poetica dell’Arte Povera e di Piero Manzoni, ha portato a modellare una struttura utilizzando teloni da camion per imprimere sulla superficie del cemento una rugosità simile a quella di un tessuto. In un altro sito, a Palisades—una spettacolare linea di falesie alberate che precipitano nell’Hudson—Holl proietta le striature scure della roccia sulla struttura di una nuova abitazione in cemento per ricavare un materiale dalla tonalità simile.
Per Holl, i materiali sono parte assolutamente integrante dell’idea architettonica. Per la Daeyang Gallery and House in Corea, da poco completata, l’architetto desiderava un rame rosso patinato di una particolare profondità timbrica. Ottenere la tonalità esatta era cruciale per la riuscita del progetto complessivo: per questo, Holl ha convinto il committente a farlo fabbricare dalla Zahner, un’azienda del Kansas in grado di garantire il risultato voluto.
Ciò ha comportato un aumento dei costi, ma Holl sottolinea che “l’aspetto materiale fa parte dell’arte di fare architettura… è possibile immaginare Richard Serra che realizza le sue sculture senza usare massicce lastre di metallo? Sono pronto a rinunciare a un progetto per un solo materiale”. Holl, tra l’altro, testa direttamente i materiali nella sua abitazione, a nord dello Stato di New York, dove per 12 anni ha osservato come i pannelli di alluminio alleggerito assumano una patina diversa nel corso dell’anno. Dopo aver verificato nel tempo come cambino tonalità e interagiscano con la luce, sta ora progettando di usarli per una nuova biblioteca nel Queens, New York, sulla sponda opposta del fiume rispetto al fdr Memorial di Louis Kahn.

Steven Holl indica alcuni schizzi nel suo ufficio di New York. Photo Yoo Jean Han

Holl e McVoy mostrano come lavorare su piccoli campioni di materiale possa essere anche un test per idee da applicare sulla più ampia scala di un edificio. Recentemente invitato a produrre sculture a partire da un grosso blocco di pietra di Lecce, Holl ha usato la sega a cinque assi della cava per modellare il materiale secondo modalità non riproducibili a mano. La relazione tra massa e vuoto ha quindi portato all’idea di incavare lo spazio sulla scala di un edificio: così, lo studio intende usare pietra di Lecce scolpita nello stesso modo per un nuovo progetto alla Princeton University. Prima di farlo, la pietra ha bisogno di essere testata per vedere come si comporta nel ciclo di caldo-freddo del clima della costa orientale. Per il momento, i 2,722 chili di pietra di Lecce collocate all’esterno dell’abitazione dell’architetto non hanno ancora mostrato segni di sofferenza.

Michael Maltzan. Photo Ramak Fazel

Michael Maltzan Michael Maltzan guarda con circospezione al ruolo che i materiali giocano in un edificio. Vede l’aspetto materiale esterno di una forma come la definizione di un perimetro spaziale, piuttosto che come espressione del materiale stesso. È estremamente interessato all’effetto percettivo del limite spaziale, e nei suoi edifici ne impiega numerose variazioni. Alcuni degli effetti che persegue sono ottenuti con pareti costruite a strati: pannelli perforati sopra pannelli contrastanti di materiale solido creano una fluttuazione ottica, mentre l’impiego di tecniche di pittura murale conferisce un effetto di profondità alle superfici sottili. Scettico riguardo ai “materiali pre-animati”, Maltzan concentra il suo interesse sul modo in cui i materiali vengono vivificati dal contesto e dall’effetto fisico della loro forma. Il suo approccio percettivo e stratificato probabilmente è meglio visibile nella facciata blu del moma qns, un progetto del 2002. La fabbrica della Swingline che occupava il sito in precedenza era rivestita di mattonelle invetriate blu, che erano diventate il tratto distintivo del quartiere. Maltzan così ha scelto di rendere omaggio all’edificio originale, con la sua facciata di stucco blu. Ma non si è trattato di un semplice intervento di colorazione: una serie di blu applicati in numerosi strati sequenziali sono stati testati per trovare una saturazione adeguata a contrastare il colore del cielo di New York. Il tono definitivo è stato ottenuto con un singolo strato di blu steso su uno strato di bianco: una combinazione grazie alla quale la superficie esterna emana una particolare luminosità. All’inizio della sua carriera, Maltzan aveva ammirato la tecnica dei pittori muralisti, che “spesso, quando volevano ottenere un nero, iniziavano con una mano di rosso, che poi coprivano di blu e infine di nero”.

Sperimentazione di rivestimenti in acciaio inox perforato per la residenza Ovitz, nel parcheggio dello studio di Maltzan a Silver Lake, Los Angeles

La facciata della residenza Ovitz di Beverly Hills, costruita da Maltzan nel 2009, è ricoperta da due serie di materiali combinati che generano un forte effetto spaziale. Pannelli di acciaio inox sono perforati con tagli a forma di losanga, praticati in sequenza a disegnarne altre di dimensioni molto maggiori. Una variazione è rappresentata dalla finitura a specchio che protegge e rivela al tempo stesso lastre di materiale isolante impermeabile, verde e morbido, montato a distanza di circa dieci centimetri. In una seconda variazione, i pannelli perforati esterni sono dipinti di bianco, mentre quelli sottostanti sono di acciaio inox lucidato. I motivi tracciati dalla perforazione dei pannelli esterni sono visibili da lontano; più ci si avvicina, più gli strati sottostanti di materiale isolante verde e di acciaio lucidato diventano visibili attraverso i fori. Ciò crea un notevole movimento visuale, e fa sì che la percezione che il visitatore ha del muro muti col variare della distanza.

Per Holl, l’aspetto materiale fa parte dell’arte di fare architettura: “Sono pronto a rinunciare a un progetto per un solo materiale”

Più parliamo di materiali e più Maltzan appare a disagio. “I materiali sono una delle ultime cose a cui penso. Ho bisogno di costruire le fondamenta intellettuali del progetto, quindi il materiale arriva come mezzo per rinforzarle”. Nel suo vocabolario, minuscoli aggiustamenti successivi ai materiali esistenti hanno un forte impatto. Maltzan parla della possibilità di apportare piccole variazioni alla composizione del vetro per ottenere il giusto compromesso tra riflettività e trasparenza, di modo che il materiale dia quasi l’impressione di scomparire, anche se non completamente. “Per mezzo di minime modifiche calibrate è possibile creare un effetto completamente diverso, qualcosa di totalmente inedito”. È precisamente nell’interazione con questo nuovo effetto che scopriamo l’architettura di Maltzan: “Cambiare materiali secondo un processo di iterazione crea un effetto radicale, tale da continuare a essere intrigante in modo davvero produttivo. Il materiale rimane apparentemente immutato, e non è possibile comprendere appieno perché sia differente. Si tratta di un aspetto veramente interessante, che inserisce lo spettatore nell’equazione”.

Thom Mayne. Photo Ramak Fazel

Thom Mayne Nella prospettiva di Thom Mayne, i materiali generici evidenziano le strategie organizzative di un edificio e rafforzano il suo sostegno agli spazi egualitari. Sebbene Mayne preferisca materiali comuni—cemento, acciaio, vetro e legno locale—non lesina gli sforzi per distanziarsi da un loro uso ordinario. “Non intendiamo usare niente che appartenga all’ambito standardizzato. Mi interessa l’invenzione di nuovi prodotti che si leghino in modo particolare all’intenzione che sorregge il lavoro”. Allo studio Morphosis, diretto da Mayne, non esiste un’agenda materiali, e questo a causa del rifiuto di tutto il team di risolvere nuove sfide con soluzioni preconfezionate. La gran parte delle scelte di Morphosis in tema di materiali è guidata dalla ricerca di una miglior efficienza e di prestazioni più avanzate. Il San Francisco Federal Building, il Caltrans District 7 Headquarters a Los Angeles e la Cooper Union di New York impiegano tutti un rivestimento esterno di metallo perforato, che consente a questi edifici un controllo naturale della climatizzazione, ottimizzando l’efficienza energetica. Leggiamo sul sito di Morphosis che “il Federal Building è il primo palazzo per uffici negli Stati Uniti ad abbandonare l’aria condizionata a favore della ventilazione naturale”.
Sia nel Federal Building sia nel caso di Caltrans Building District 7, le facciate sono cinetiche e reagiscono alla luce, chiudendosi per dare ombra e proteggere l’edificio dal caldo durante il giorno e riaprendosi al calare della sera. La doppia superficie traforata e traslucida della Cooper Union consente un controllo dell’ambiente, aprendo all’esterno una serie di viste sugli spazi interni della scuola. Entrambi i sistemi sono stati appositamente realizzati per i rispettivi edifici.
Per il Perot Museum of Nature and Science di Dallas, Mayne ha optato per l’impiego del cemento. Materiale tipico del paesaggio di Dallas, le sue caratteristiche più crude sono raramente rese visibili. Stimolato dal béton brut di Le Corbusier ma limitato da restrizioni nel budget, Mayne ha concepito una sfida interessante per il suo studio: “Volevamo lavorare realizzando le gettate in sito, ma non ce lo potevamo permettere. Così abbiamo deciso di usare lastre prefabbricate, creando però le qualità ‘grezze’ della gettata diretta di béton brut”.

Mayne e il suo gruppo di lavoro verificano la qualità dei campioni di vetro, rame e alluminio anodizzato nel parcheggio all’aperto dello studio

La facciata lievemente incurvata dell’edificio è costruita con una combinazione non ripetitiva di pannelli prestampati di cemento, ciascuno prodotto con un processo di lavorazione altamente sofisticato eppure sorprendentemente semplice. Oltre 50 variazioni di pannelli di cemento di circa 2,5 x 10 m, dalla forma scultorea unica, sono realizzate usando 12 stampi in silicone. I pannelli possono quindi essere mascherati secondo quattro diverse soluzioni e inseriti a pressione in cornici, nel caso servano pannelli curvati. La reiterazione e la manipolazione degli stampi hanno costi contenuti, e permettono di ottenere quella “casualità biologica” che Mayne aveva cercato per le facciate. Questo sistema è stato messo a punto da Morphosis usando il programma Digital Project di Gehry Technologies, ed è stato sviluppato attraverso un’intensa collaborazione con la Gate Precast Co. Mayne è contento che la superficie liscia delle matrici in silicone abbia trasmesso all’esterno del cemento la loro tipica opalescenza: “La superficie riflette la luce in modo tale che il materiale può essere scambiato per metallo, e il suo colore cambia con il variare della luce del giorno”.
Per quanto sia appassionato di nuovi processi, Mayne non ha preconcetti nei confronti di metodi datati o semplici. In certi momenti anche il comune cartongesso dipinto può andar bene: “Se è bianco non è nulla, un non-materiale, un’astrazione. Quando Eisenman costruiva in bianco, non aveva alcun interesse per il materiale: si trattava puramente della concettualizzazione di un’idea. Se vogliamo una tecnica di costruzione che non dia luogo a una lettura del materiale usiamo lastre di cartongesso”. Il materiale è sempre al servizio di un più ampio obiettivo programmatico del progetto.

Richard Meier. Photo Yoo Jean Han

Richard Meier  In tutta la sua carriera, Richard Meier ha usato un vocabolario omogeneo, che gli ha consentito di sviluppare un metodo di espressione e costruzione rigoroso. Il suo interesse verso il bianco e la griglia strutturale tridimensionale lo ha portato a essere uno dei primi a sviluppare un linguaggio architettonico del sistema a pannelli metallici. Il piccolo archivio materiali dello studio, con molti colori neutri e tonalità di bianco, riflette la stringatezza di questo idioma. Come criterio di prestazione, Meier di solito cerca materiali con superfici altamente riflettenti, di un bianco puro, che resiste al trascorrere del tempo e che “dopo cinquant’anni apparirà tale e quale al giorno in cui l’edificio è stato completato”. Nella sua carriera, il materiale di rivestimento è passato dall’acciaio porcellanato all’alluminio e al metallo smaltato, e, più recentemente, al Corian. “Mi piace il Corian perché il suo aspetto si mantiene nel tempo. In caso di inquinamento dell’aria, basta innaffiarlo ogni tanto”. Meier sottolinea inoltre che “in alcuni dei progetti più recenti, l’acqua drena sotto i pannelli”, minimizzando le chiazzature sulla superficie.


Nello studio di Richard Meier ogni progetto inizia con un template di un materiale standard, che viene occasionalmente modificato in base al contesto o al progetto

Un altro materiale che risponde ai criteri di Meier è il “cemento bianco puro”, altrimenti noto come cemento autopulente. “Non è un materiale di nostra invenzione. In realtà, lo usò Nervi ai tempi dello Stadio olimpico, ma poi è passato di moda e nessuno lo ha più usato: così ci è parso interessante trovare un nuovo modo di impiegarlo”. Quando la luce solare colpisce la superficie del cemento autopulente ha luogo un processo fotocatalitico tale da neutralizzare gli agenti inquinanti che altrimenti procurerebbero una decolorazione della superficie. Rimanendo pulito, bianco e puro, questo materiale è esemplare dell’architettura di Meier. L’architetto americano ha recentemente completato il Centro di ricerca e sviluppo per uno dei suoi produttori, Italcementi.
Che si tratti di metallo, Corian o cemento, il rivestimento ha consentito a Meier di esprimere la griglia tridimensionale che organizza la sua architettura. Elementi di grandi dimensioni sono spezzati in pannelli e i giunti tra questi diventano opportunità per registrare la griglia. Questa registrazione della griglia crea un senso spaziale astratto, generando al tempo stesso una scala a misura d’uomo. Nel Bronx Developmental Center, Meier ha sviluppato un linguaggio a pannelli completo e articolato, reinventando un rozzo sistema industriale usato nei magazzini di stoccaggio. Include finestre stampate, griglie di ventilazione, e pannelli ondulati. “La fabbricazione degli elementi è stata un punto cruciale nel definire lo sviluppo del progetto”. In seguito, nella chiesa del Giubileo a Roma, Meier ha usato pannelli precostruiti da 12 tonnellate, che hanno segnato un importante passo avanti. “Si tratta di un tipo di pannello in cui finitura esterna e interna sono uguali”. La simmetria tra esterno e interno porta la parete a un più alto livello di astrazione: rappresenta un piano geometrico nello spazio, piuttosto che la tradizionale duplicità interno-esterno.

Per Maltzan, l’individuazione del materiale arriva dopo la costruzione delle fondamenta intellettuali del progetto

Il vocabolario standard di Meier, altamente evoluto, è celebre per le sottili differenze in materiale e colore, come una versione neutrale dei suoi vibranti collage. A volte questo vocabolario viene manipolato a creare un dialogo con il contesto storico e urbano. Al Getty Center di Los Angeles, Meier ha voluto creare un collegamento tra l’architettura e il sito collinare. Volando sopra il Grand Canyon e osservando la scala della roccia, l’architetto ha deciso di collocare “circa una dozzina di massi irregolari e giganteschi per cambiare la scala e dare un accento al luogo (Kenneth Frampton, in Richard Meier, Electa, Milano 2002)”. Oltre a una simile scelta, la superficie bianca e riflettente ha rappresentato il modo per creare un dialogo con il contesto. “Per me”, continua Meier nel libro di Frampton, “il bianco assomma tutti i colori. Riflette nel modo più efficace i toni cangianti della natura:
il verde dell’erba, il blu del cielo, le foglie d’autunno. È in questo senso che il bianco è tutti i colori insieme. È un colore espansivo, non limitante”.
Andrew Ferentinos, architetto e scrittore, e Jonathan Olivares, industrial designer e scrittore