Perpetual Architecture, che lascia accuratamente il "lavoro editoriale" al visitatore, è una mostra nitida. Le poche parole che offre suonano spoglie come le immagini. Un breve testo introduttivo accompagna le immagini, per esempio, descrivendo i depositi come "tombe per i resti degli impianti di lavorazione e degli scarti dell'uranio, pigiati con il bulldozer in contenitori appositamente studiati per limitarne il contatto con l'ambiente circostante per migliaia di anni". Più oltre la cruda conclusione del testo suona come il meglio della poesia contemporanea: "Grandi fino a 1.300 metri quadrati, assomigliano a piramidi, a ziqqurat o a ruderi di una cultura di costruttori di tumuli geometrici. Come le antiche tombe egizie, sono fatti per tagliare i collegamenti con il mondo contemporaneo, conservandosi inerti e intatti per la maggior parte possibile dell'eternità. Sono non-luoghi: isolati dal presente, progettati e destinati al futuro".
Come le antiche tombe egizie, i depositi di rifiuti d'uranio sono fatti per tagliare i collegamenti con il mondo contemporaneo, conservandosi inerti e intatti per la maggior parte possibile dell'eternità.