Amato maestro, Mein Lieber Freund
Nel 1983, con una tempistica oggi inimmaginabile, Aldo Rossi riceve l'incarico di dirigere la III edizione della Biennale di Architettura prevista da lì a due anni.
Al momento della nomina l'architetto milanese — che succede a Paolo Portoghesi, chiamato a presiedere l'intera istituzione della Biennale veneziana — è conosciuto anche internazionalmente per i contributi di tipo teorico legati allo studio dei fenomeni urbani, grazie ai libri L'architettura della città (1966) e Scientific Autobiography (1981); le sue architetture costruite eccedono di poco le dita di una mano, ma si sono imposte anche grazie a una indiscussa forza icastica.
Assertore di un'architettura motore e materia essa stessa della trasformazione urbana, dove la dimensione critica sorregge la volontà politica di intervenire nella costruzione incessante della città, Aldo Rossi vede nella nuova edizione della Biennale l'occasione per superare l'impasse disciplinare consegnata alla storia dalla "Strada Novissima" dell'edizione portoghesiana.
Da qui la decisione di non limitarsi a esporre solo "opere selezionate e artisti eccezionali", ma di bandire un concorso-esposizione aperto ai più diversi contributi, agli architetti più influenti nel dibattito culturale, ai docenti universitari e più generalmente a tutto il mondo del progetto, proponendo loro di misurarsi con temi concreti calati nella realtà di Venezia e del suo entroterra.
Da qui la decisione di riproporre i progetti e i materiali relativi a quella III edizione conservati nell'archivio ASAC in una piccola esposizione che con elaborati di concorso e manifesti, ma soprattutto sul doppio registro delle immagini dell'allestimento e dell'inaugurazione e della fitta corrispondenza intrattenuta da Rossi con maestri, amici e colleghi, ci restituisce un po' di quello spirito, l'illusione di partecipare, tutti, alla costruzione di qualcosa di speciale.
Nella nota lettura rossiana, l'architettura effimera è l'antecedente del monumento: "al pari del teatro il portale recupera le costruzioni delle città che nascevano per precise occasioni della vita urbana e poi venivano distrutte o trasformate in architettura di pietra". In questo spirito s'inscrive la proposta, poi non realizzata, in occasione della V edizione della Biennale 1991, della trasformazione in mattoni, pietra d'Istria e acciaio degli Archi del 1985.
In quei primi anni Ottanta, Aldo Rossi contrappone il lavoro minuto degli scritti, di piccole opere, in opposizione al "sistema sordo che ha distrutto e depredato le nostre città".
Forse è a partire da qui che potremmo ricostruire un Common Ground.
Raffaella Poletti
Gli "Archi" di Aldo Rossi per la 3. Mostra Internazionale di Architettura 1985
mostra organizzata dalla Biennale di Venezia – ASAC Archivio Storico delle Arti Contemporanee, in collaborazione con IUAV
Ca' Giustinian, San Marco 1364/A, Venezia