Soglie verticali #3: Sou Fujimoto

Compiuta realizzazione di quell'idea di casa senza scale, l'edificio di Fujimoto si basa su un sottile telaio di acciaio a piani sfalsati.

La Casa NA, opera di Sou Fujimoto, sorge in una viuzza di un distretto da hipsters, ricco di vita e negozi quanto eccentrico e periferico, dove l'intensa vita sociale si associa a un panorama di basse abitazioni e al traffico tranquillo di pedoni e biciclette.
Essa appare come la più compiuta realizzazione lungo quell'itinerario ossessivo per la creazione di un ambiente, gradinato, interamente abitabile, che contraddistingue molte sue opere: dal padiglione a tronchi di legno a Kumamoto (Final Wooden House o Log House) alla Casa H e alla maquette concettuale Primitive Future House, già elaborata nel 2001 e che Kazuyo Sejima gli ha dato la possibilità di presentare alla Biennale di Venezia del 2010. Compiuta realizzazione di quell'idea di casa senza scale (rispetto alla quale, rimane ancora qualche gruppo di gradini, trattato come fosse un 'mobilio' che può essere spostato e riposizionato altrove, creando, di fatto, l'illusione di ottenere molteplici itinerari interni), l'edificio si basa su un sottile telaio di acciaio a piani sfalsati. Ogni livello diventa così una superficie generica, senza qualificazione specifica, che può essere impiegata come scrivania, ripiano, letto, sedia, sostegno… esaltando l'abitudine giapponese del sedersi o dormire a terra, in un modo così esteso e chiaro che non chiede lunghe descrizioni, ma invita a immaginare. Tutti questi progetti, ma in modo più intenso le due abitazioni, rappresentano semplici offerte di spazi minimi, sufficienti a chi vi abita, eppure indifferenti a quanto sta loro accanto. Trasparenza e percorribilità visiva accomunano tra loro questi edifici dai prospetti inesistenti e nei quali vetri a tutta altezza e tende la fanno da padrone.

Il fatto che nessun accorgimento particolare sia stato adottato per la climatizzazione e che, in entrambi i casi domestici, si ricorra all'uso di condizionatori per regolare il clima degli ambienti, conferma quanto queste case siano astratte o, meglio, facciano astrazione del contesto. È questa loro indifferenza esibizionistica conseguenza della verticalità?
Un confronto, per esempio, con la verticalissima casa-studio dell'Atelier Bow-How, esito di un'attenta osservazione dell'intorno, in cui tamponature e finestre sono disposte in modo da non scontrarsi con le costruzioni adiacenti e per massimizzare le poche viste disponibili nei densi lotti al centro degli isolati di Tokyo, sembrerebbe far propendere per una risposta negativa. Essa dimostra quanto queste architetture, e in particolare quelle domestiche, rappresentino piuttosto delle dichiarazioni programmatiche e siano intese come veri e propri manifesti di radicalità. Cases estreme, potremmo chiamarli, con un gioco di parole.

È noto quanto la dottoressa Farnsworth trovasse scomodo il proprio padiglione. Isolato nel verde e in assenza di un efficace dispositivo di controllo climatico, la signora dell'Illinois vi soffriva soprattutto le conseguenze dell'umidità di un suolo esondabile. Esso è il motivo della sua elevazione sopra un podio, anche se oggi è divenuto sempre meno efficace per difendersi dalle inondazioni delle acque fangose del Fox River, forse conseguenza ineluttabile del riscaldamento planetario.
Chi ha chiesto queste case poco confortevoli sembra volere qualcosa di estremo, anche a discapito della distruzione dell'intimità e dell'esposizione radiografica della solitudine e dell'individualismo metropolitano, fosse anche in famiglia. Tutto qui si tramuta in plan libre! Una volta rimosso il rivestimento, a rimanere non è tanto lo spazio (concetto 'illusorio' e 'programmatico', visivo più che tattile, emerso dall'influenza dell'Einfühlung sull'architettura modernista), quanto una rappresentazione di un'abitabilità estrema: ovvero estesa a tutta la superficie di ogni piano di questi edifici.
In alto: la Casa NA vista dalla strada Solo la
cucina e il bagno hanno
arredi fissi; lo scarso mobilio
assume l’aspetto di oggetti
posati su ripiani. Sopra: l’interno della Casa
NA è un volume unico. La casa ha un telaio costruttivo
interamente in acciaio, sul
quale vetri e tamponature
sono montati senza cornici. Le
porte e le finestre presentano,
invece, telai in legno
In alto: la Casa NA vista dalla strada Solo la cucina e il bagno hanno arredi fissi; lo scarso mobilio assume l’aspetto di oggetti posati su ripiani. Sopra: l’interno della Casa NA è un volume unico. La casa ha un telaio costruttivo interamente in acciaio, sul quale vetri e tamponature sono montati senza cornici. Le porte e le finestre presentano, invece, telai in legno
A questa abitabilità si dovrebbero ricondurre anche i numerosissimi trucchi, al limite delle norme edilizie e dei codici di sicurezza, qui presenti. Così frequenti nelle costruzioni giapponesi, essi sono permessi dal fatto che, nelle case private, i regolamenti spostano la responsabilità dal progettista al proprietario che, nel momento in cui accetta il progetto, diventa l'unico responsabile.

Su questo punto sarebbe interessante allora un confronto dei due esempi domestici con la celebre Roof House dei Tezuka, dove gli architetti, inclinando di poco la copertura, hanno fatto diventare tetto quella che, di fatto, è una terrazza, permettendosi così, nel rispetto dei regolamenti edilizi, di omettere i parapetti. Non ci si soffermerà su questi aspetti per non mettere in imbarazzo architetti e proprietari, ma si lascerà ai lettori la capacità di comprendere se la collocazione dei vasi e i parapetti siano a norma o se alcuni dei vetri, che confinano con i vicini, siano anti-sfondamento.
Com’è tipico in queste
aree urbane, i cavi elettrici
passano a ridosso della
costruzione. A piano terra,
una soletta in aggetto è
l’unico modo per ricavare
un posto auto
Com’è tipico in queste aree urbane, i cavi elettrici passano a ridosso della costruzione. A piano terra, una soletta in aggetto è l’unico modo per ricavare un posto auto
Verticalità nel contesto iper-denso della capitale giapponese vuol dire soprattutto contesto ultra-ravvicinato. Il codice civile non impone, quasi, una distanza minima, ma obbliga a mantenere la non contiguità tra le costruzioni. Ne consegue che lo spazio tra due corpi di fabbrica può risultare anche meno di mezzo metro. Con queste distanze esso non può essere impiegato per raccogliere la luce, ma esclusivamente per ospitare quegli accorgimenti volti ad assicurare la ventilazione dei volumi (anche se la soluzione con la quale Kazuyo Sejima tratta il retro dell'edificio, laddove questo si accosta alle scale e alla corte dello stabile adiacente, è esemplare). Uno dei capolavori di Akira Kurosawa, Tengoku to jigoku (1963), conosciuto in America con il titolo High and Low (in Italia, è Anatomia di un rapimento), ma più appropriatamente traducibile come Heaven and Hell (Paradiso e Inferno), rappresenta, con un'efficacia raramente replicata al cinema, il valore di distinzione sociale attribuito all'architettura moderna nel periodo della ricostruzione. Inquadrata dal basso o ritratta nella lussuosa eleganza dei suoi interni modernisti, la casa dell'industriale Gondo provoca un odio così intenso nel protagonista negativo del film, relegato nella sua baracca senza luce e senz'aria nei bassifondi della città, da spingerlo al rapimento di un minore e al delitto.
Ricchi di accorgimenti e di trucchi, questi progetti si presentano come strutture semplici ed essenziali.
L’edificio è
abitato da
una coppia
senza figli.
Verso il retro,
le facciate
sono meno
trasparenti.
Opache,
ospitano gli
impianti
L’edificio è abitato da una coppia senza figli. Verso il retro, le facciate sono meno trasparenti. Opache, ospitano gli impianti
Una simile contrapposizione è forse oggi troppo semplicistica, e proponibile esclusivamente in modo sfocato, notando a Tokyo, come ovunque, un totale scollamento tra il progetto del contemporaneo e l'abitazione nel contemporaneo. Per quanto costose e non accessibili a tutti, queste due case appaiono delle scelte d'élite, che propongono contenuti diversi, non più di classe, ma scelte specifiche decise da specifici individui, per quanto eccentrici essi siano.

Questi edifici, nel loro insieme, si distinguono allora per mettere alla prova un principio tutt'altro che urbano (il plan libre come abitabilità sognata alla Farnsworth) e lo 'abbassano' definitivamente dal paradiso del moderno al collettivo della città. Il loro insegnamento non è solo quello di una sovrapposizione parallela di esistenze, ma anche quello di una delle molte, moltissime, soluzioni possibili per cercare di vivere insieme, non solo a Tokyo. Questo è il regalo che la densità, specie in un futuro obbligato di grandi numeri e cambiamenti climatici, fa agli architetti. A noi imparare a trattarlo, anziché fuggirne.

House NA, Tokyo
Progetto: Sou Fujimoto
Design Team: Takahiro Hata, Keisuke Kiri, Masaki Iwata
Strutture: Jun Sato Structural Engineering
Supervisione alla costruzione: HEISEI construction
Area costruita: 66.03 m.
Progetto: 01/2007—01/2010
Construction phase: 01/2010—04/2011

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