Note sul progetto
Monica Mazzolani
Il punto di partenza per la progettazione degli edifici residenziali proposto nel 2003 dalla committenza – Solidere, la Società per la Ricostruzione Libanese – fu il regolamento derivato dall’accordo di programma stipulato con la municipalità di Beirut circa il carattere che gli edifici dovevano assumere per promuovere il senso della centralità urbana. Stilisticamente, il modello di riferimento era chiaro: l’edificio borghese importato dall’Europa durante il periodo del mandato francese – dagli anni Venti agli anni Quaranta.
Nei vecchi quartieri residenziali della zona centrale, il Central District, come risposta all’eterogeneità di stili che caratterizza i frammenti rimasti in piedi dalle distruzioni della guerra, la ricostruzione si ispira all’edilizia dell’eclettismo levantino, che ha caratterizzato la formazione di un particolare senso del decoro urbano in voga nei primi trent’anni del XX secolo. Una scelta precisa, tradotta in regolamento edilizio che i progettisti devono accettare per disegnare i nuovi quartieri di edilizia residenziale in questa parte della città. La difficile conciliazione tra tradizione e innovazione è stata la spina dorsale del pensiero che ha orientato la progettazione dei due blocchi edilizi che si trovano ai piedi dell’antico Serraglio, attuale sede del Parlamento, e sono attraversati da rue Waj che in pochi metri conduce a Place de l’Étoile e ai suk in via di ricostruzione. Come tutte le città mediterranee, Beirut è un luogo urbano densamente stratificato, dove ogni popolazione, dai Fenici in poi, ha impresso sul territorio urbanizzato il proprio strato. La stratificazione del tessuto urbano è evidente anche nel tessuto sociale della popolazione attuale, composta di numerosi gruppi etnici e confessionali.
Nell’affrontare la progettazione, la ricerca architettonica sul carattere da imprimere al modello residenziale del Central District si è spinta a indagare le modalità di relazione tra lo spazio pubblico e quello privato, le differenti soglie di privatezza della vita domestica, lo spazio interno dell’abitazione e il suo affaccio verso il mondo esterno, avviando una seria riflessione su continuità e rotture con la tradizione all’interno di un programma di reale rinnovamento. Alla fine della guerra (1975-1990) grandi aree urbane erano pesantemente danneggiate, in particolare nel centro; ma già a distanza di dieci anni l’ambizioso programma di ricostruzione privata poteva vantare la realizzazione di un nuovo sistema infrastrutturale e di difesa delle aree costiere, un avanzato processo di decontaminazione dei suoli, il ripristino e l’ampliamento dei siti archeologici più prestigiosi, il recupero di circa 300 edifici storici e la realizzazione di un considerevole numero di nuovi edifici. L’idea guida di ricostruire la capitale a partire dal suo centro è stata immediatamente supportata dalla fruizione dello spazio pubblico, che viene promossa nel Central District. Beirut rinasce dal suo centro, come una città mediterranea di antica civiltà, cosmopolita e ricca di tradizioni.
Ispirarsi a tale modello residenziale significava confrontarsi con la tipologia a “soggiorno passante” che ne aveva influenzato lo sviluppo, con tutte le implicazioni distributive e di gerarchie nella privatezza degli spazi che questo modello tipologico comportava. Per fare un discorso coerente sulla tipologia a stanza centrale occorreva trovare nuovi modi di articolazione che le consentissero di evolversi per adattarsi alle esigenze di un’utenza diversificata. Il modo nel quale l’affaccio della stanza passante caratterizzava le due facciate contrapposte del blocco, e la varietà di serramenti a cui la tripartizione che ne derivava aveva dato origine nel tempo, introducevano nella riflessione un altro elemento: quello della variazione in stretta relazione con il tema dell’identità. Fin dall’inizio il programma fu quello di avere appartamenti tutti diversi nel taglio, nell’articolazione delle stanze di soggiorno, nei loggiati e nei serramenti esterni. Proprio la stanza passante – di derivazione incerta, probabilmente importata dalla Turchia o da Venezia – si rivelò l’elemento chiave di queste trasformazioni, capace anche di riportare il discorso sull’abitare alle sue origini rurali, di gettare un ponte verso il modello residenziale della borghesia cosmopolita del primo Novecento e di costruire un principio di generazione dello spazio capace di sottrarre i volumi alla logica del blocco.
La stanza passante, in quanto parte più pubblica dello spazio privato dell’abitazione, consentiva di superare la distribuzione tradizionale tra disimpegni, zone notte e zone giorno a favore di una logica che, eliminando i disimpegni, permettesse di creare attrazioni e sinergie in un nuovo sistema di relazione degli ambienti più simile a quello che si genera tra gli spazi urbani. Tenendo conto che i tagli di alloggio variano tra i 200 e i 400 mq si sono identificati nuclei di ampiezza differente destinati alla vita della famiglia, alle persone di servizio, all’esclusiva pertinenza dei padroni di casa, e si sono stabiliti criteri in base ai quali regolare i rapporti reciproci e con la stanza di soggiorno passante, in relazione anche alle possibilità di affaccio e di scambio con l’esterno. Ne sono derivati 60 tagli di alloggio su 80 appartamenti, con stanze di soggiorno tutte differenti e arricchite da dettagli di finitura e serramenti interni di grande varietà. L’architettura di Beirut è molto ricca di modi eleganti per esprimere il proprio carattere urbano, nei rapporti tra pieni e vuoti, nella qualità dei materiali, nella preziosità degli elementi che compongono la facciata: bow window, logge, terrazzamenti, parapetti, modanature, corrimano, coronamenti, finestrature. Molti edifici significativi sono stati analizzati e parte degli elementi architettonici che li componeva è stata campionata, interpretata, corredata dei requisiti necessari per renderla attuabile, e integrata a una gran parte di finiture disegnate mano a mano che procedevano la modellazione del blocco dall’esterno – e lo studio degli alloggi – dall’interno. La molteplicità di linguaggio ha influenzato il processo di progettazione prima di manifestarsi sulle facciate esterne e interne degli edifici e si propone come un’alternativa da esplorare più a fondo per ricomporre i frammenti di una urbanità che per molti anni è rimasta in sospensione, rintracciabile più nei racconti e nelle attitudini che nello spazio fisico.