L’arte contemporanea è sicuramente in grado di rappresentare e definire una cultura meglio di altri fenomeni sociali. La stessa cosa si può dire del contenitore in cui l’arte viene esposta: sottolineando l’importanza del luogo, l’architettura esprime i valori che una comunità attribuisce all'arte del suo tempo, indica quali norme questa comunità si è data per la propria produzione creativa, e dichiara così quale è il senso del suo fare storia.
Per anni la città di Melbourne si è impegnata, tra molte difficoltà, per trovare un luogo adatto ad accogliere ed esporre l’arte nuova. Anche l’ACCA, l’Australian Centre for Contemporary Art, non ha avuto vita facile nella vecchia villa ristrutturata vicino al War Memorial, uno dei landmark della città. Ora lo studio di architettura Wood Marsh, insieme a Pels Innes Neilson Kosloft, ha creato per ACCA una nuova sede, ottenuta dall’ampliamento della Malthouse: uno spazio per spettacoli e manifestazioni situato sulla riva sud del fiume Yarra, che separa Melbourne dai sobborghi.
Il nuovo complesso di edifici, costruiti in acciaio Corten ossidato, comprende la nuova galleria d’arte della Malthouse, laboratori, spazi per spettacoli e un giardino delle sculture. Come un’opera d’arte in sé, il complesso si tiene ben distinto, per stile e natura, dai vicini edifici residenziali e dalle autostrade: quasi a sottolineare che l’arte deve sfidare le convenzioni e staccarsi da ciò che la circonda. Con i volumi collocati in un nudo paesaggio di ghiaia e pietrisco, l’edificio è visibile da ogni lato: le austere pareti di acciaio sembrano sculture lacerate, che contrastano con le garbate dimore neo-georgiane del quartiere; ma sembrano a proprio agio accanto alla struttura rosso arancio del ventilatore di aerazione del vicino tunnel della metropolitana.
La Malthouse – una vecchia fabbrica in mattoni recuperata – completa infine l’insieme, con i nobili e solidi volumi stagliati contro il nuovo museo dal sapore vagamente post-Gehry e pre-Libeskind. Lo studio Wood Marsh è già noto in Australia, soprattutto per i suoi progetti seducenti e alla moda: che in sostanza non chiedono però molto ardimento da parte dei committenti, pur dando loro la sensazione di essere in qualche modo illuminati e progressisti.
Con il complesso ACCA, i progettisti sono andati più in là, anche se hanno conservato alcuni elementi alla moda, come l’ormai prevedibile disordine ‘Penrosiano’, qui reso con linee di cemento inserite nella pavimentazione, vetri piani dappertutto e grandi quantità di metallo lasciato nudo. Eppure i dettagli sono sobri, l’arte resta protagonista negli ampi spazi espositivi. Il linguaggio architettonico dimostra padronanza e maestria: i pannelli di metallo sono posati con abilità sulla struttura, e danno all’edificio un ritmo e un’armonia che contraddicono l’apparente disordine della pianta e le forme un po’ esotiche della costruzione.
Il complesso comprende una struttura a più livelli incastrata nell’involucro di acciaio piegato. Le gallerie principali sono quattro, e si intersecano l’una con l’altra: forme ampie, semplici, adatte all’esposizione di ogni tipo d’arte contemporanea.
Gli uffici e le aree di servizio sono situati su due piani, collegati a livello del primo piano, mediante un ponte che passa sopra il giardino delle sculture, a un laboratorio di scenografia posto sul retro del teatro, che si rallaccia al primitivo uso della vecchia fabbrica ristrutturata. Le gallerie espositive hanno una semplice finitura scura; le porte di comunicazione fra i diversi spazi sono ampie e arricchite da sculture; nel foyer e nell’atrio d’ingresso le pareti, un po’ contorte come grandi pannelli di macramé, in realtà in vetro semitrasparente e barre di metallo, sfiorano la piacevolezza vistosa dello stile night-club per cui Wood Marsh è noto. Anche l’illuminazione di tipo teatrale per questi spazi evoca un ritmo musicale, più che dare un’impressione unicamente visiva.
Coerentemente con l’architettura in metallo piegato, la reception è costituita da un elemento curvo di metallo aguzzo e scintillante, gettato sopra un banco scuro un po’ misterioso e magico: una specie di divertente gioco dell’oca. Intelligente ma un po’ scontroso; mosso, ma non agitato. Quel che più importa, questa sembra un’architettura rigorosa anche se audace e rappresenta un pregevole contributo alla serie di buone architetture di cui Melbourne va arricchendosi: la Storey Hall del RMIT di Ashton Raggatt McDougall; la Federation Square di LAB; il nuovo Museo dello Stato di Victoria, di Denton Corker Marshall.
Il complesso ACCA è l’immagine riflessa di una società illuminata, vivace, aggressiva, creativa, curiosa, attenta a non farsi coinvolgere da tentazioni conservatrici di sicurezza e facili compromessi. In questa occasione i progettisti di Wood Marsh hanno dimostrato con notevole eleganza come si possa temperare la voglia di colpire e impressionare con la necessità di costruire qualcosa di durevole e dignitoso: e come anche l’impegno a investire bene il denaro pubblico non impedisca di produrre un’architettura eccentrica e perfino un po’ impertinente. Aver mirato alto e aver mantenuto una coerenza durante tutto il processo costruttivo è un genere di arte: e arte è proprio ciò che in questo caso Wood Marsh ha creato.