“Quattro anni fa, su questo terreno, volevamo costruire una piccola casa, una villetta. Io ho saltato alcune riunioni e poi...”.
Sospirando, il preside Jørgen Rasmussen indica con una mano il cortile della sua scuola, nella periferia di Copenaghen. Un dolce rialzo, rivestito di legno di quercia, occupa il centro della corte e alcuni segni rivelatori del suo autore, un ex studente della scuola, sono disseminati su questa sorta di collinetta.
“Hai visto la lunghissima panchina in fusione d’acciaio?” mi domanda qualche giorno dopo Bjarke Ingels con un tono allegro, alludendo alla striscia metallica curvilinea che può fungere da pista da skateboard e che scivola intorno a un lato della montagnola, lungo un gruppetto di semplicissimi sgabelli bianchi in stile BIG/Expo di Shanghai disposti circolarmente.
La materialità e l’inclinazione di questo gentile tetto possiedono una programmatica frivolezza: una giocosa leggerezza, del genere “vieni a farti un giro”, che ricorda i primi lavori di PLOT. Il Gammel Hellerup Gymnasium — una bassa struttura tradizionale di mattoni, di tipo postbellico, situata in un quartiere costellato da ambasciate e cimeli marini — ha effettivamente accolto un giovane Bjarke Ingels, dai 16 ai 19 anni.