Questo articolo è stato pubblicato su Domus 969 maggio 2013
Il ricordo di una catastrofe è destinato a dissolversi e ciò rappresenta, al tempo stesso, un dramma e una benedizione. È certo e inevitabile che i vivi debbano seppellire i morti e occupare i luoghi in cui erano vissuti. Chi sopravvive non può che ricordare i defunti e temere la forza che li ha portati con sé. Per continuare a vivere, però, è importante dimenticare, in qualche modo, anche tutto questo. Ecco, allora, che un cataclisma rivela chiaramente una verità fondamentale dell’esistenza umana, comprimendo e amplificando il sottile fruscio del ricambio generazionale in un terrificante boato di distruzione.
Sono riflessioni, queste, che scaturiscono dal mio incontro con una superstite dello tsunami del 2011: un’irreprimibile signora giapponese di mezza età, Mikiko Sugawara. Ci siamo incontrati davanti a una stufa a legna, all’interno di una peculiare costruzione che guarda su una desolata piana cosparsa di rovine di cemento, con strade che non conducono da nessuna parte ed erbacce ovunque: ovvero, tutto ciò che rimane di Rikuzentakata, la città originaria di Sugawara, un tempo abitata da oltre 23.000 persone. L’edificio è uno dei centri comunitari del progetto Home-for-All, implementato in zone residenziali provvisorie. Un’iniziativa alla quale Toyo Ito ha dato inizio in maniera pionieristica dopo il disastro, aiutato da un gruppo formato da amici (il gruppo kisyn — Kengo Kuma, Toyo Ito, Kazuyo Sejima, Riken Yamamoto e Hiroshi Naito).
La Home-for-All di Rikuzentakata, in particolare, è il risultato della collaborazione tra Ito e i giovani architetti Kumiko Inui, Sou Fujimoto e Akihisa Hirata. Alcuni modelli che documentano il processo progettuale sono stati esposti nel 2012 alla Biennale di Architettura di Venezia, assieme a immagini che illustravano la portata della devastazione, opera del fotografo Naoya Hatakeyama, originario di Rikuzentakata.
A Venezia, il progetto ha ottenuto un consenso generale e si è aggiudicato il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale, verdetto ulteriormente confermato dalla recente assegnazione a Toyo Ito del Pritzker Prize. Osservando il desolato paesaggio di Rikuzentakata e riflettendo sull’enormità di quanto è accaduto e sulle gigantesche dimensioni dell’opera di ricostruzione che dovrà aver luogo, lo scintillio delle luci veneziane sembra molto lontano.
Visitando le aree devastate dallo tsunami, colpisce la lentezza con cui la ricostruzione sembra procedere
Nonostante le dimensioni modeste, questi interventi si sono rivelati più indovinati e apprezzati dagli abitanti che non le opere realizzate per via ufficiale
Improvvisamente, mi sono reso conto che non si trattava di una coincidenza. Per Toyo Ito, il cataclisma che ha colpito il Paese ha posto delle domande fondamentali all’architettura, ma con questo minuscolo intervento egli ha deliberatamente trasceso l’ego individuale, inserendo invece la comunità locale come partner paritario del processo progettuale. Dal canto suo, Mikiko Sugawara ha avuto la stessa responsabilità degli architetti riguardo alle forme e al carattere del progetto, il che l’ha resa orgogliosa del suo lavoro.
Mentre parlavamo, lo spazio intorno a noi si è aperto a dare il benvenuto a persone come vicini di casa, operai, passanti casuali ed estranei curiosi, che salivano le scale esterne per poter osservare meglio l’interno e il panorama, o per radunarsi intorno alla stufa a conversare. Tutti venivano accolti nella stessa maniera in cui io ero stato accolto: in qualche modo, quel luogo rendeva possibile un dialogo tra sconosciuti.
Rappresentava, a mio parere, ciò che uno spazio pubblico deve rappresentare: tanto il nucleo di una comunità emergente, quanto un luogo aperto per incontrare persone esterne alla comunità stessa.
In questi progetti, piccoli ma significativi, il processo di ricostruzione sta unendo i progettisti e gli abitanti secondo modalità capaci di apportare importanti trasformazioni a entrambi. Le comunità locali sperimentano le inedite possibilità che una visione creativa esterna è capace di offrire. E gli architetti, dal canto loro, comprendono quanto possa essere contrastato, faticoso, ma anche profondamente gratificante, ricostruire una comunità.
Julian Worrall, @julianworrall — Professore associato presso la Waseda University, Tokyo