Quando nel 1952 Gio Ponti, Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini, con Nino Bertolaia all’engineering, completano il palazzo della Rai in Corso Sempione, tutto è in transizione: di lì a due anni entrerà in esercizio regolare la TV nazionale, e già da prima l’architettura italiana sta attraversando un guado che dal razionalismo e dal linguaggio Novecento porterà a diverse vie, tra Neoliberty, architettura organica, International style. L’interior si discosta con una certa forza dagli anni precedenti cedendo spesso all’antiquaria, come capiterà con la Villa Necchi Campiglio di Portaluppi riarredata da Tomaso Buzzi; ma in quegli anni nasce il design italiano vero e proprio, il disegno industriale che si applica all’arredo e prepara l’Italia a diventare un riferimento globale. In un edificio della transizione come quello milanese nato per la radio ed esteso alla televisione, lo spirito del design di Ponti pervade molti spazi, sempre con la discrezione che lo caratterizza in questo progetto. Negli uffici direzionali e nelle zone di rappresentanza si esprime al massimo, in ciò che è fisso come in ciò che è mobile, dalle maniglie alle porte alle boiseries, per includere anche sedie, tavoli e lampadari, combinando una ricerca della leggerezza e un ritorno della linea curva di matrice postbellica con le proporzioni di un secondo Novecento. Lo ritroviamo nelle scale con la lama di legno ininterrotta che scivola tra i parapetti di piano in piano, e ancora a punteggiare gli spazi più tecnici con soluzioni che sono design nel programma e nel funzionamento, più che nel linguaggio o nell’estetica: basta pensare alle porte che isolano gli studi, le cui maniglie vanno alzate e non abbassate per aprirsi, in modo da evitare ingressi distratti.