La “morte dell’ufficio” – per come lo si è concepito negli ultimi decenni, statico, con corrispondenza univoca tra attività e luogo nello spazio – sta investendo diversi settori, non tutti con la stessa forza ma indubbiamente con un qualche effetto, dall’hot desking degli anni 2000 allo smart working dell’era postpandemica. Il Prisma, realtà progettuale che ha affrontato questo argomento in diverse commesse, questa volta ha puntato a portare questo processo direttamente a casa propria, col progetto della sua nuova sede milanese che è stata battezzata Il Prisma Live.
Per riassumerlo con le parole del fondatore dello studio Stefano Carone, più che di un ufficio si tratta di “un luogo interamente pensato per favorire l’imprevisto”. Un ambiente fluido dove la firm ha voluto tradurre in elementi spaziali un’idea di condivisione della conoscenza sulla quale punta a costruire il proprio posizionamento, professionale e culturale, oggi come in futuro. I 1100 metri quadrati dell’intervento si articolano attorno ad una grande Area Live, dalla distribuzione complessa e flessibile allo stesso tempo, dove una matrice di tubi Innocenti permette l’organizzazione di work setting diversi attraverso arredi configurabili, e l’estensione o la separazione da un mezzanino e da un bar attraverso spalti e pareti mobili. A completare ci sono un Lab destinato a materioteca e focus group di ricerca, e un giardino interno in continuità con gli altri spazi, hortus conclusus dove la contaminazione di diverse essenze accoglie esigenze diverse di lavoro o di concentrazione.
Al concept hanno contribuito tutte le unità in cui Il Prisma divide la sua operatività: Cityscape e Worksphere, urbanistica e spazi per il lavoro, hanno sviluppato il programma di interazione con la città sul piano di una scala umana, così come la sua caratterizzazione di spazio esperienziale, che influisca sui comportamenti di chi lo usa favorendo incontri anche non necessariamente organizzati; Destination (retail e hospitality) ha tracciato un quadro delle soluzioni d’interni che punta a investire su quelli che Dunbar ha consacrato come legami deboli, mentre l’Innovation ha attraversato i diversi contributi mettendo a punto un programma culturale di ricerca da sviluppare dentro il nuovo spazio, quest’anno con l’artista Marco Nereo Rotelli. La tecnologia poi ha un ruolo pervasivo nel progetto, nell’innervare tutta la sua componente digitale di interfaccia sonora e visuale, e nel contribuire alla ridefinizione continua dei setting spaziali attraverso l’illuminazione: l’approccio biofilico però è quello che vuole mettere tutto a sistema, integrando la vita della vegetazione e quella delle persone, in un rapporto che sia di interazione e non di decorazione.