L’architettura, testimone delle differenti epoche, ha sempre avuto come primo dovere quello di rispettare i suoi immancabili compagni: la realtà e il tempo. Oltre che suo primo dovere, si tratta anche del suo interesse primario, poiché la sua maggiore ambizione è suscitare emozione mentre scorrono gli anni.
L’architettura automatica del nostro mondo urbano globalizzato ci obbliga a percepire il fake, l’impreciso, l’ostentazione e una sfacciata leggerezza. Tutti questi cortocircuiti impediscono all’architettura di essere se stessa, e alle sue dimensioni poetiche e metafisiche di cogliere il proprio bersaglio: l’emozione spontanea.
L’architettura portoghese degli ultimi decenni ha un fascino solido. Usa vocaboli familiari in situazioni che conferiscono loro nuova forza. La sua stupefacente limpidezza e capacità d’attrazione si traducono in una prossimità, in un contatto che ci fanno constatare come la precisione e la schiettezza del giusto vocabolario applicate nel luogo giusto producano benefici straordinari. Va detto che la forza della semplicità, la potenza della materia e della scala sono requisiti che, quando vengono messi insieme, decuplicano il loro effetto. Si tratta evidentemente della filosofia di un’architettura che appartiene a un mondo di paesaggi urbani.
I disegni fatti di getto da Álvaro Siza piombano come nuovi arrivati sullo spazio bianco della carta. Sono in movimento, appartengono a un contesto, sono in relazione con le architetture vicine e queste, a loro volta, sono considerate vive come oggetti che fanno parte di un gioco destinato a prolungarsi. Eduardo Souto de Moura, invece, ci sorprenderà sempre con l’evidente presenza di materiali geometrici solidi come il cemento, la pietra e il mattone, e con spazi caratterizzati da un continuum tra interno ed esterno. Le sue opere sono segnate da decisioni incisive, ritmi astratti, il confronto con l’ambiente che li ospita e le costruzioni che sorgono vicine, che scoprono di ritrovarsi naturalmente meglio insieme in quel contesto.
Le altre architetture che corredano questo editoriale e che pubblichiamo nelle pagine seguenti sono state scelte perché esprimono la forza delle geometrie massicce: la maestosa torre di Fernando Távora, i favolosi specchi d’acqua di Álvaro Siza tra l’espressività frutto del caso degli scogli, il tetto piramidale di cemento grezzo e il museo dalla forma di un bunker spezzato di Aires Mateus, il candido e sottile ampliamento della casa di Atelier Data, la franca e solida architettura di calcestruzzo di Carvalho Araújo e il sereno labirinto per godere del suono del mare di Pancho Guedes, rinnovato da Ressano Garcia. Tutti progetti che sono sul territorio per un certo lasso di tempo. Alla scuola portoghese piace guardar scorrere il tempo.