La mostra “Vetro e disegno. Il processo creativo nelle storiche vetrerie muranesi del ‘900” è stata la protagonista della Venice Glass Week 2020 con l’incontro “C’era una volta, le vetrerie del ‘900”, coinvolgendo alcuni degli ultimi protagonisti di un’epoca unica per la storia del vetro e di Murano. Il progetto espositivo, ospitato fino al 31 dicembre negli spazi di Punta Conterie, ripercorre decennio dopo decennio la storia di Murano del secolo scorso: una fucina di idee, di arte, di innovazione.
Abbiamo approfittato dell’evento per parlare del futuro e dei cambiamenti dell’isola del vetro con due persone che a Murano ci sono nate: Caterina Toso, curatrice della mostra, storica del vetro ed erede dell’Archivio della Fratelli Toso, e Alessandro Vecchiato, fino a qualche anno fa co-proprietario di Foscarini, e ora titolare, insieme a Dario Campa, di Punta Conterie.
I vasi e gli oggetti esposti mettono in mostra la Murano degli anni d’oro, tra commissioni di designer o artisti rinomati e pezzi unici. Ma è solo questa l’isola? “Quello che forse non è così risaputo al di fuori di Murano” ci spiega subito Caterina Toso, “è che le vetrerie, tradizionalmente, erano le prime fabbriche, le prime realtà industriali che facevano produzione su scala di numeri molto elevati. La parte artistica, che è quella conosciuta a livello internazionale, in realtà non era che una percentuale minoritaria di quello che era effettivamente il lavoro delle vetrerie. Ma chiaramente in tempi più recenti, con l’avvento dell’industrializzazione, il volume di oggetti richiesti si è abbassato. C’è tutta una serie di oggetti che prima veniva realizzata a Murano, ma che ora non ha più ragione di essere prodotta. Ad esempio, fino al secondo dopoguerra qui si facevano anche le lampadine. Si tratta di una categoria merceologica che è stata sottratta alla produzione artigianale, perché ovviamente è più conveniente, più efficiente e più veloce la produzione industriale”.
Le opere in mostra, tutti vetri originali, provengono da importanti collezioni private italiane e straniere tra cui la Collezione Holz del tedesco Lutz H. Holz e degli eredi Vistosi, alcuni casi già presentate a La Biennale di Venezia, altri meno conosciuti: un design inedito di Hans Stoltenberg Lerche originale realizzato dalla Fratelli Toso o le vetrate disegnate da Vittorio Zecchin per le porte della ditta SALIR. Un percorso dal quale emergono i nomi di alcuni grandi designer del vetro novecentesco, da Tomaso Buzzi a Fulvio Bianconi, da Ercole Barovier a Dino Martens.
“Ma le fornaci di così grandi dimensioni, necessarie per certi tipi di lavorazione” continua la storica Toso, “difficilmente potranno continuare ad esistere e, infatti, guardandoci intorno, la tendenza che si vede è quella di avere delle fornaci molto piccole che tendenzialmente girano intorno a un unico maestro. Il maestro e la sua piazza - termine usato per identificare il gruppo di aiutanti -, non superano il numero di 10 persone. Questa tendenza è in realtà una necessità per abbattere i costi. Le fornaci grandi, hanno dei costi fissi sopratutto inerenti all’uso del gas che sono difficilmente sostenibili. Sembrano quasi più degli atelier d’artista”.
“Non ho mai lasciato Murano” inizia così, invece, la conversazione con Alessandro Vecchiato. “Quando ho lasciato sei anni fai la Foscarini, mi sono preso un periodo di riflessione. Ho trovato un’isola che a livello di produzione del vetro è cambiata tantissimo. Trenta anni fa c’erano 150 aziende con 5000 operai, adesso ci sono ancora le stesse 150 aziende ma con 800 addetti in tutto. Come i vari settori artigianali, il problema principale sono le maestranze, è difficoltoso trovare giovani che vogliano iniziare a lavorare il vetro. Si sta trasformando in un’attività artigianale di micro-aziende. Ci sono pochissime aziende che hanno serialità di prodotto, si contano su poche dita della mano, e molte micro-aziende familiari che puntano sul settore artistico, legato al turismo locale. Ci sono poche fornaci che possono fare un prodotto seriale, anche perché fare un prodotto seriale vuol dire conoscere molto bene tecniche e colori. Altra cosa è fare un pezzo d’arte, cinque pezzi possono essere diversi l’uno dall’altro. Diversa è la produzione seriale di 100 pezzi, e poi ripeterli dopo diversi mesi. Bisogna avere una conoscenza della materia molto ampia”.
Altro tema importante per il futuro dell’isola è quello energetico. Le fornaci, infatti, si riscaldano ancora attraverso l’utilizzo di gas naturale, svantaggioso ormai sia dal punto di vista economico sia da quello ambientale. “C’è uno spreco enorme a livello di energia. Se fossimo in Giappone sarebbe possibile recuperare tutta questa energia e calore. Ci sono anche grossi problemi impiantistici, dove l’unico investimento fatto negli ultimi decenni è stato quello per diminuire l’inquinamento atmosferico. Io sono entrato in fornaci dopo trent’anni e ho visto la stessa polvere di allora”.
Come muoversi, quindi, per rinnovare l’isola e mantenere viva questa tradizione secolare? Per Caterina Toso è fondamentale “puntare a un rinnovamento dal punto di vista dell’oggetto. Negli anni Novanta uno degli oggetti più prodotti era il posacenere. Con il divieto di fumo negli ambienti chiusi dei locali pubblici, questo articolo non viene più richiesto. Non si tratta di un rinnovamento da un punto di vista tecnico, le fornaci potranno continuare ad esistere, anche quelle di grandi dimensioni. Necessario oggi è ripensare alla categoria merceologica, tentare di offrire qualcosa di cui ci sia richiesta adesso”. Ma, precisa subito Toso, la necessità di svelare ed essere coscienti, per i fruitori quanto per gli artigiani, dell’inesattezza del termine tradizione. “Pensare che tradizionale sia esattamente come una volta è sintomo di una mentalità chiusa. La tecnica è tradizionale, ma arriva il momento in cui ci si può avvantaggiare dalle conoscenze e dai cambiamenti tecnologici, i quali a mio avviso non vanno a snaturare in alcun modo il prodotto”.
E dello stesso avviso è Vecchiato. “In questo momento bisogna invertire la rotta aprendosi al mondo esterno, anche alle scuole esterne. Bisogna creare una scuola vera nell’isola di Murano, non una scuola didattica che insegni teoria. Al contrario, c’è bisogno di una scuola applicata, con maestranze interne ed esterne: cosa che non è mai stata fatta perchè Murano è sempre stata molto chiusa, e questo problema fa sì che l’isola, un po’ alla volta, sparisca. Non ci sono ricambi di maestranze perché non ci sono ragazzi che vanno a lavorare nelle fornaci: è stato abbandonato il mondo del saper fare con le mani”.
“La macchina che c’è dentro una fornace, è il maestro e la sua squadra” conclude l’imprenditore muranese. “Si può avere il forno più bello, con l’aerazione più spettacolare, ma se non c’è la macchina-maestro, le cose non si fanno. Molte fabbriche, dopo che il maestranza va in pensione, smettono di produrre un dato articolo. Questo significa che l’azienda non è riuscita a trasmettere il saper fare agli altri membri della squadra”.