La pandemia ci ha insegnato in questi mesi a dare un nuovo volto allo spazio. La limitazione dei movimenti ci ha fatto riscoprire la sua fisicità, che abbiamo imparato a misurare sul banco di prova del distanziamento sociale. Nelle ultime settimane quante volte abbiamo sentito il bisogno d’isolarci all’interno delle nostre abitatazioni, magari in condivisione con fidanzati, figli, genitori, coinquilini? Quante volte abbiamo convissuto all’interno dello stesso ambiente dedicandoci ad attività differenti? E quante volte ci siamo ritrovati su un tappetino ad allenarci o sul tappeto del salotto a meditare?
Il tappeto è diventato per molti una stanza, un luogo da attraversare, in cui isolarsi, dove nascondersi. Del resto, oltre cinquant’anni fa, ne “Le parole e le cose”, il grande francese Michel Foucault l’aveva teorizzato coniando il termine ‘eterotopia’ per indicare quei luoghi reali, riscontrabili in ogni cultura di ogni tempo, strutturati come spazi definiti, ma “assolutamente differenti” da tutti gli altri spazi sociali. Se per Foucault le utopie sono spazi fondamentalmente irreali e consolatori, le eterotopie s’identificano in luoghi realmente esistenti ma eterogenei e talvolta inquietanti: utopie localizzate che s’insinuano nella continuità dello spazio fisico creando una sostanziale discontinuità e andando a definire uno spazio illusorio. Per Foucault l'archetipo dell'eterotopia era proprio il giardino persiano, riprodotto sui tappeti orientali.
Questa prospettiva ha contribuito a cambiare la percezione del tappeto contemporaneo da accessorio decorativo a componente essenziale del progetto d’interni. In questa galleria fotografica proponiamo 10 tappeti che combinano tecniche artigianali e lavorazioni manuali e guardano alla sostenibilità delle fibre utilizzate dal lino alla seta, al polipropilene per uso esterno.