Progetto, produzione, vendita e consumo sono i quattro fattori che secondo lo storico Renato De Fusco rendono l’esperienza del design un processo unitario. È partendo da questi parametri che abbiamo analizzato le trasformazioni in corso nel design contemporaneo, per poi individuare un nuovo movimento del design da collezione che forma un universo – e un mercato – in grande crescita. Negli ultimi anni si sono moltiplicate manifestazioni indipendenti e sono sorte nuove gallerie che si occupano solo di design contemporaneo, mentre sempre più giovani progettisti autoproducono il proprio lavoro abbandonando la strada della produzione industriale. Per indagare questo fenomeno abbiamo interpellato galleristi che operano in tutto il mondo, protagonisti riconosciuti o emergenti: Beatrice Bianco di Camp Design Gallery (Milano); Nicolas Bellavance-Lecompte della Carwan Gallery (Beirut e Atene); Maria Foerlev di Etage Projects (Copenaghen); Marc Benda di Friedman Benda (New York); Trevyn McGowan di Southern Guild (Città del Capo).
Quali prospettive per il design da collezione? La parola ai galleristi
Cinque protagonisti internazionali ci raccontano stato dell’arte e potenziale del design contemporaneo in galleria. La riscoperta dell’artigianato, il legame con il territorio e il divario sempre più sottile con il mondo dell’arte accomunano il lavoro che svolgono a Beirut, Atene, Milano, Copenaghen, New York e Città del Capo.
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto Federico Floriani
Foto courtesy Etage Projects
Foto courtesy Etage Projects
Foto courtesy Etage Projects
Foto Daniel Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Dan Kukla
Foto Dan Kukla
Foto Dan Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Daniel Kukla
Foto Hayden Phipps
Foto Adriaan Louw
Foto Hayden Phipps
Foto Kate McLuckie
Foto Hayden Phipps
Foto Hayden Phipps
Foto Hayden Phipps
Foto Hayden Phipps
Foto Hayden Phipps
Foto Hayden Phipps
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- Salvatore Peluso
- 25 maggio 2020
Il rapporto ambiguo tra design e arte, il legame con il territorio e il lavoro diretto con i designer sono i motivi più comuni per cui sono nate, tutte negli ultimi 20 anni, le gallerie da noi interpellate, a testimonianza di quanto il movimento del collectible design sia recente e ancora difficilmente storicizzabile. “La galleria ha iniziato a focalizzarsi sul lavoro di designer contemporanei nel 2007. Volevamo rappresentare i progettisti con le stesse modalità con cui le gallerie tradizionali rappresentano gli artisti”, ci dice Marc Benda. “Ci interessavano – e ci interessano – progetti a lungo termine perché quel che ci preme è sviluppare una visione e non esporre pezzi fatti per alimentare un mercato già esistente”. Per Trevyn McGowan, la svolta per la sua galleria è avvenuta dieci anni fa. “Southern Guild nasce nel 2008 a Città del Capo ma è stata una visita a Design Miami nel 2010 a farci capire che il nostro lavoro poteva essere incanalato in un segmento di mercato preciso, il design da collezione. Questo contesto ci ha aiutato a dare una direzione alla nostra pratica”.
“Sviluppare il grande potenziale artistico, artigianale, paesaggistico e civile di una città come Beirut è il motivo per cui abbiamo avviato Carwan Gallery, che nel 2011 è stata la prima galleria di design contemporaneo della regione”, spiega Nicolas Bellavance-Lecompte. “Puntavamo a diventare un nuovo punto di riferimento e un luogo di scambio con la cultura occidentale”, continua. “Carwan infatti, in persiano antico significa ‘caravanserraglio’, un edificio utilizzato per la sosta delle carovane che attraversavano il deserto”. Più giovane la galleria di Maria Foerlev, che ha aperto Etage Projects nel 2013, da subito votata al design. “Nella mia galleria presento lavori che traducono visioni concettuali in oggetti funzionali e di uso quotidiano. Quello che mi interessa è capire come l'estetica ci influenza e come le idee possono tradursi in estetica”.
In linea con questa visione è l’approccio della milenese Camp Design Gallery, nata nel 2015. “Creare uno luogo sicuro dove poter dare spazio a nuove idee e significati” sono i motivi che hanno spinto Beatrice Bianco ad aprirla. “La galleria si pone in modo complementare ai metodi di produzione contemporanea e collabora con piccole aziende e artigiani, proponendo anche processi di produzione sperimentali”. Quello che intercorre tra gallerista e designer non può essere inquadrato in una semplice collaborazione professionale. La scala ridotta e le tematiche sviluppate necessitano di un rapporto umano che sappia produrre valore anche sul piano sociale e culturale. Alla base, c’è un lavoro intenso su entrambi i fronti. “Il rapporto che instauro con i designer è molto personale”, precisa Bianco. “Non investo solo denaro, ma anche tempo, una parte della mia vita”. Un approccio e un’intensità condivisi da Marc Benda, che si concentra sulla sperimentazione: “Noi cerchiamo persone con sensibilità nuove e complementari con il nostro lavoro, autori che non comprendiamo ancora appieno”. Maria Foerlev è sulla stessa linea. “Per potermi fidare del mio intuito”, racconta, “passo molto tempo a fare ricerche, a visitare gli studi, a viaggiare per le fiere. In generale, ho antenne ovunque. Lavoro con artisti che realizzano pezzi funzionali e designer che lavorano concettualmente, e il loro lavoro si basa su un'esperienza coinvolgente che non è possibile ottenere come spettatore passivo”. Alla Carwan Gallery il lavoro di selezione è altrettanto intenso e ha una direzione precisa. “Quasi tutti i progetti che presentiamo”, spiega Bellavance-Lecompte, “sono il risultato di uno scambio che si sviluppa con una commissione speciale fatta ad hoc per la galleria. Non cerchiamo solamente un bell’oggetto decorativo, l’aspetto concettuale è molto importante”. La ricerca di Trevyn McGowan di Southern Guild è più spiccatamente locale. “Guardiamo ai margini delle discipline, scegliendo sempre artisti sudafricani. Cerchiamo persone che vogliono esplorare una narrativa personale, guardando alla storia, alle tradizioni, a un diverso modo di relazionarsi con la natura o a una tematica politica. Per questo spesso i nostri artisti sviluppano processi di autoproduzione istintivi, arcaici, poco tecnici, o lavorano con artigiani locali che usano tecniche tradizionali”.
Se la modernità aveva sancito la separazione netta tra progetto e produzione, il lavoro del gallerista è quello di ricombinare e scombinare i quattro fattori del design e in particolare l’ultimo, il consumo. Dire che il “design deve essere per tutti” non significa solo permettere l’acquisto a una fascia ampia di persone, ma ragionare criticamente sui modi di fruizione di un oggetto. Il lavoro di networking e quello in ambito educativo svolto dalle gallerie è allora un modo per ripensare il ruolo del design al di là della funzionalità. “La nostra prospettiva”, spiega Marc Benda, “è cercare di diffondere il nostro lavoro a un pubblico molto più ampio rispetto a quello della galleria, lavorando con scuole e istituzioni. La formazione oggi avviene in molti modi: crediamo la mostra sia il miglior modo per raccontare la visione di un autore e permettere che questo si esprima al meglio”. Su un territorio con problematiche particolari, Carwan Gallery condivide questo stesso approccio. “Noi siamo una galleria che si trova in un mercato emergente dove c'è tutto da fare”, precisa Nicolas Bellavance-Lecompte. “In dieci anni di vita abbiamo dovuto investire molto sull’educazione e la diffusione della cultura del design. È anche grazie a noi che a Beirut oggi ci sono decine di studi indipendenti di art design e che si possono trovare opere in molte case, aziende, ristoranti…”.
Tutti sentono forte il senso della missione del proprio operato, al di là delle logiche di mercato. “È mia responsabilità far conoscere il lavoro dei designer”, racconta Maria Foerlev da Copenaghen. “Mi interessano le idee, perché sono sempre state le idee a guidare la storia. I concetti vanno spiegati, e naturalmente provo a farlo al meglio nelle mostre che ospito e nelle fiere a cui partecipo”. In Italia, secondo Beatrice Bianco, il lavoro da fare per ampliare la penetrazione del design da collezione è ancora molto. “L’Italia è un po’ in ritardo nel comprendere questa dimensione, nonostante la nostra design week sia la più importante al mondo e a Milano esistano soggetti di primo piano nel panorama internazionale. Il nostro lavoro è anche quello di costruire un sistema del design contemporaneo”, spiega. Difficoltà che assumono contorni peculiari in Sudafrica, come racconta Trevyn McGowan. “In ambito educativo lavoriamo su molti fronti. In generale, a noi interessa spiegare il valore del design da collezione e cosa significa essere sudafricani. Un aspetto fondamentale è anche la fomazione degli artisti: dare loro l’opportunità di vedere le migliori fiere per capire cosa succede nel mondo e qual è il livello di eccellenza richiesto”.
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