Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1056, Aprile 2021.
Il futuro dell’industria e del design passa per l’artigianato?
Lo stretto rapporto culturale e produttivo tra designer, artigiano e industria è oggi reso più complesso dall’uso della tecnologia. Con Alberto Cavalli, Nicola Coropulis, Giulio Iacchetti e Stefano Maffei abbiamo parlato delle sfide future.
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- Giulia Ricci
- 24 aprile 2021
- direttore esecutivo Michelangelo Foundation e direttore generale Fondazione Cologni
- industrial designer
- amministratore delegato Poltrona Frau
- professore Politecnico di Milano e direttore Polifactory.
Giulio Iacchetti: Ogni volta che si interpella l’artigiano a proposito del rapporto col designer, si apre un mondo. Come dimostrano i precedenti nobilissimi di Ettore Sottsass ed Enzo Mari, l’artigianato e il design si alimentano vicendevolmente: se il primo ha la possibilità di smarcare la tradizione dal cliché, il secondo riconosce nel primo una serie di valori. Tra questi c’è il tempo dell’artigiano, che implica qualità e rapidità di esecuzione simultaneamente. Il design, invece, necessita di maggiore sedimentazione. L’industria, poi, è più lenta nella fase di progetto, e accelera quando si arriva nella fase finale della produzione seriale.
Nicola Coropulis: Trovo che le competenze artigianali proprie di un territorio siano spesso valorizzate dalla logica di replicabilità e dalla scala della produzione industriale. È necessario integrare artigianato, industria e innovazione tecnologica, soprattutto perché queste ultime hanno l’effetto di aumentare la sicurezza sul lavoro e di ridurre gli sprechi della materia prima, oltre ad aumentare la qualità del prodotto finito e del servizio al cliente. Il rapporto con il territorio passa poi anche attraverso le scuole, con lo scopo di garantire il passaggio delle competenze da una generazione all’altra attraverso la migliore capacità della scuola di formare al mondo del lavoro.
Alberto Cavalli: I mestieri d’arte guardano ai valori umani, prima che produttivi. Porre antinomie – artigianato e tecnologia, per esempio – credo sia inutile. La tecnologia è uno strumento: ciò che se ne fa è una scelta, ma conoscere lo strumento permette di sviluppare una certa prospettiva. La vera nemica dei mestieri d’arte è invece l’ignoranza di quei valori che rendono l’opera dell’essere umano consapevole e creativa. Produrre più oggetti, ma privi di valore, genera insoddisfazione e ansia. L’artigiano è sempre desideroso d’innovare e il rispetto e la preparazione del designer si rivelano essenziali. Secondo l’ADI, il design è un “processo creativo culturalmente consapevole”. In questa definizione troviamo tutti i valori che rendono oggi i mestieri d’arte molto importanti per creare un futuro più sostenibile. La sostenibilità sta anche nei sogni, nella libertà e nell’eterogeneità di ciò che si crea. È essenziale, quindi, raccontare alle nuove generazioni che si può essere felici del proprio lavoro e che l’artigianato dà la possibilità di trasformare creativamente i materiali che tutti abbiamo a disposizione negli oggetti che tutto il mondo desidera.
Stefano Maffei: Lancio una provocazione: è corretto parlare di sogni e di libertà contro l’omologazione, ma talvolta artigianato e industria sono stati gli artefici di questo processo, non la soluzione. Dobbiamo ridiscutere il paradigma industrialista corrente, che viene dagli anni Sessanta. Lo stesso Andrea Branzi, in Pomeriggi alla media industria, raccontava il sistema delle specializzazioni industriali italiane come un artigianato intelligente che si mescola con l’industria con originalità. Dobbiamo ricordarci, poi, che alcuni oggetti di straordinaria tecnicità sono manufatti artigianali, come il Rover atterrato su Marte. Oggi il digitale potenzia la capacità di accesso ai bisogni di individui e società, ed è su questo che dobbiamo aggiornare la cultura della disciplina. Dietro al Recovery Fund o al New Green Deal non ci sono solo prospettive politiche, ma anche industriali e di ricerca, che racchiudono nuovi sogni, necessità, valori. Bisogna capire quale sia il ruolo dell’artigiano nell’interpretare queste trasformazioni, nel vero spirito dell’homo faber: usare la capacità fabbricativa per incidere sul futuro e le sue sfide.
La produzione di beni durevoli deve puntare sempre più a rispondere a questa richiesta di riduzione dello spreco... acquisendo modelli di consumo più consapevoli dell’impatto ambientale.
Nicola Coropulis: Ciò che dice Stefano è vero: spesso si guarda al passato più che al futuro. La pandemia ha accelerato una serie di fenomeni e credo sia giusto inquadrare il peso dell’industria nel contesto delle sfide sul futuro. La produzione di beni durevoli deve puntare sempre più a rispondere a questa richiesta di riduzione dello spreco, guardando a un mondo che ha maturato una sensibilità nuova e sta acquisendo modelli di consumo più consapevoli dell’impatto ambientale.
Alberto Cavalli: Ciò che si produrrà domani corrisponderà al desiderio e all’ethos che le generazioni più giovani stanno manifestando adesso. La ricerca dell’autenticità nell’espressione, di un’originalità che combini la vicinanza alla sorgente con un cambiamento positivo apprezzabile e la tradizione come propellente per uscire dalla sensazione di déjà-vu sono i valori che animano i maestri d’arte e che in questa transizione sono essenziali. Siamo cresciuti con la promessa del futuro, ma oggi quello stesso futuro è diventato una minaccia. Vediamo tutti le tensioni sociali che lacerano il nostro Paese. Tutelare l’artigiano, in Italia e altrove, significa dare una prospettiva di lavoro soddisfacente, che rispetti le persone e l’ambiente, che rivitalizzi il territorio e che faccia battere il cuore. Credo che tutto questo possa contribuire a rendere la società più giusta.
Tutelare l’artigiano, in Italia e altrove, significa dare una prospettiva di lavoro soddisfacente, che rispetti le persone e l’ambiente, che rivitalizzi il territorio e che faccia battere il cuore.
Giulio Iacchetti: Concordo con Alberto quando dice che la dicotomia artigianato-tecnologia vada superata e sono contento che abbia sdoganato la parola ‘felicità’, che è un termine tabù. Da designer, trovo sempre la pienezza del vivere nelle botteghe artigiane, luoghi del fare e del pensiero. Qui, lo scopo ultimo è la realizzazione collettiva di un oggetto che ci possa sopravvivere. Questa è per me l’attrazione potente dell’artigianato: gli oggetti che nascono con cura e felicità sono portatori di questo DNA, di questo desiderio di andare oltre il tempo.
Stefano Maffei: Credo però che la tecnologia sia l’ambiente in cui viviamo, più che uno strumento: questa è la differenza fra artigianato tradizionale e contemporaneo. La pratica artigianale sta entrando in una prospettiva complessa che mescola le discipline: la ‘bottega’ è quindi sempre più vicina all’idea del ‘laboratorio’. Ciò vale anche per la prima iniziativa concreta sul design dell’Unione Europea, il New European Bauhaus, su cui si è espressa anche Ursula von der Leyen, che vede nella multidisciplinarità la risposta alle sfide ambientali. Progetto a cui l’Italia, con la sua cultura del progetto e del fare, dovrebbe partecipare.
Nicola Coropulis: Sono d’accordo, l’artigianato vive e si evolve nel rapporto con la tecnologia e con l’innovazione, perché questo è l’unico modo per lavorare con le competenze che rappresentano il territorio, migliorarle e tramandarle. Solo in questo modo possiamo farci quindi artefici della diffusione di questo sapere che altrimenti andrebbe perso se slegato dall’evoluzione del mondo circostante.
Immagine di apertura: illustrazione Francesca Bazzurro