“Se nella vita vuoi fare qualcosa per il bene comune hai due possibilità: la sanità o i trasporti”, fu uno dei tanti consigli dispensati da sua madre. Così, Janette Sadik-Khan iniziò la sua carriera come commissario del Dipartimento dei trasporti di New York City. Oggi è una delle massime esperte mondiali in materia con Bloomberg Associates, una società di consulenza pro-bono, dove fornisce consulenza ai sindaci di tutto il mondo su come reinventare e trasformare le loro strade.
Janette Sadik-Khan: “Più bici, meno auto: ecco come riprogettare le città”
Una delle massime esperte mondiali in materia di trasporti e trasformazioni urbane racconta l’importanza della riprogettazione delle strade e di come in ogni città si nasconda una città ciclabile e percorribile a piedi.
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- Maddalena Monti
- 02 gennaio 2023
Pensa ancora che sia stato un buon consiglio quello di sua madre?
“Non si tratta solo di un ottimo consiglio professionale, ma di un’ispirazione per chiunque desideri che il proprio lavoro abbia un impatto sociale. Le cose che interessano davvero ai cittadini sono spesso quelle di routine, che diamo per scontate, come il modo in cui ci si sposta. I trasporti, però, non servono solo per muoversi da un luogo all’altro, rappresentano anche la modalità di accesso al lavoro e alla scuola. Così, mi sono resa conto che affrontando le sfide legate alle strade e ai trasporti, si possono risolvere molte problematiche attuali, per esempio quelle legate al clima, alla salute, alle disuguaglianze di reddito e di accesso ai servizi. Se riuscite a progettare la vostra città, che sia New York, Milano o Roma, in modo che le persone possano spostarsi da un luogo all’altro in modo sicuro, rapido e conveniente, e a facilitare l’accesso ai servizi agli abitanti di ogni quartiere, risolverete problemi ben più grandi di quelli relativi al trasporto. Avrete anche creato una città ideale in cui vivere, lavorare e crescere una famiglia. Si tratta anche di una strategia di investimento economico ed è il motivo per cui alcune città prospereranno, al contrario di altre, che si estenderanno diventando più congestionate e costose. Se cambiamo le strade, possiamo cambiare il mondo”.
Le strade di oggi riflettono decenni di pianificazione urbana incentrata sulle automobili. Come possiamo riequilibrare la situazione portando uguaglianza e riducendo al contempo il traffico?
“Se si osserva una strada, non si vede soltanto la città com’è oggi, ma anche come gli urbanisti di 20, 50 e 100 anni fa la immaginavano. Anticamente i centri urbani venivano costruiti seguendo il principio della percorribilità a piedi perché la maggior parte delle attività quotidiane potevano essere raggiunte camminando. Nel secolo scorso, le strade sono state ridisegnate per ospitare i veicoli a motore. E questo ha generato infrastrutture che non sono riuscite a far diminuire il traffico ma anzi hanno aumentato il predominio delle auto sullo spazio pubblico, oggi congestionato, pericoloso e inquinato. Le strade, del resto, non possono aggiornarsi da sole, spetta agli amministratori delle città esaminarle regolarmente e criticamente per assicurarsi che rispondano alle esigenze, ai valori e agli obiettivi attuali. Possono farlo ricreando le caratteristiche delle città storiche, recuperando le corsie riservate alle auto riprogettandole come spazi pubblici sicuri e accoglienti per le comunità che interagiscono, camminano, fanno acquisti. Le strade possono essere riequilibrate per accogliere le persone su autobus, biciclette, e-bike e monopattini. Ma dobbiamo iniziare a fare questi investimenti oggi, in modo che tra 10, 20 e 50 anni le persone che guarderanno le proprie strade vedano luoghi più sicuri, diversificati e vivi più di quanto non possano fare oggi”.
Se si possono cambiare le strade a New York, si possono cambiare ovunque.
Lei è riuscita nel compito apparentemente impossibile di trasformare le strade di New York in spazi dinamici e sicuri per pedoni e ciclisti, a partire dal noto e ormai iconico intervento a Times Square. Che cosa le ha insegnato una città così complessa?
“Se si possono cambiare le strade a New York, si possono cambiare ovunque. Sembra che ogni città abbia ragioni particolari per cui sia impossibile costruire infrastrutture sicure per gli spostamenti a piedi e in bicicletta: strade troppo strette o troppo larghe, troppo collinari, troppo calde, troppo dipendenti dalle auto. A New York dicevano che non c’era la cultura della bicicletta, che il traffico era troppo elevato, che le strade erano troppo pericolose e che nessuno avrebbe voluto sedersi in una piazza con auto nelle vicinanze. Dicevano che togliere spazio alle auto sarebbe stato controproducente per le imprese locali e avrebbe impedito ai camion di portare a termine le consegne. La pedonalizzazione di Broadway attraverso Times Square generò molte polemiche, ma si rivelò il progetto legato al trasporto più significativo e stimolante della città dell’ultimo mezzo secolo. Il numero di persone che camminano a Times Square è aumentato del 30%, sono stati aperti nuovi negozi, il valore degli immobili è triplicato e il quartiere è ora considerato una delle principali attrazioni commerciali al mondo. Questo ha dimostrato che all’interno di ogni città dominata dalle auto si nasconde una città ciclabile e percorribile a piedi che aspetta solo una nuova generazione di urbanisti visionari.
Abbiamo assistito a un cambiamento radicale anche a Città del Messico, che aveva alcune delle strade più pericolose del mondo. Lavorando con il sindaco Miguel Mancera, abbiamo contribuito a modificare gli incroci più critici e a creare decine di spazi pubblici, con una riduzione del 24% delle vittime stradali in soli due anni. Ad Atene abbiamo aiutato il sindaco Giorgos Kaminis a pedonalizzare 30 isolati del centro, ridisegnando le strade con panchine, fioriere e nuova illuminazione. In soli due anni sono state aperte 24 nuove attività commerciali, tra cui sette alberghi, per un investimento stimato in 30 milioni di euro. Nel mio lavoro con Bloomberg e come presidente della Global Designing Cities Initiative, portiamo nuove idee nelle città di tutto il mondo. L’iniziativa più recente è BICI, un programma globale per finanziare i progetti di piste ciclabili più innovativi con sovvenzioni fino a un milione di dollari”.
Negli ultimi anni chi governa le città ha cambiato il modo di pensare? Vuole davvero creare spazi che mettano le persone al centro?
“In questo momento assistiamo a un risveglio delle città, sia nei quartieri sia nei palazzi del potere. Nell’ultimo secolo abbiamo smesso di costruire strade intorno alle persone e oggi troppe città si ritrovano impegnate a riparare o costruire infrastrutture al solo scopo di far circolare il traffico automobilistico. Tuttavia, in città come Parigi, Berlino, Barcellona e Londra sta avvenendo un’autentica rivoluzione: sono in corso iniziative per riprogettare lo spazio urbano e consentire alle persone di camminare, andare in bicicletta, incontrarsi in sicurezza, incentivare l’utilizzo degli autobus. Parigi ha trasformato Rue de Rivoli in un corridoio per sole biciclette e autobus e sta convertendo 300 strade limitrofe alle scuole in spazi pedonali sicuri per i bambini e per chi se ne prende cura. Barcellona ha bloccato il traffico in centinaia di strade, dotando la carreggiata di panchine, parchi giochi e spazi comunitari. Molte delle modifiche apportate da Berlino alle sue strade sono state rese permanenti, come la trasformazione della centrale Friedrichstrasse in un corridoio senza auto che consente ora ai cittadini di degustare un caffè sulla carreggiata. La pandemia ha offerto infatti una potente opportunità ai leader, che hanno fatto in pochi mesi ciò che altrimenti avrebbe richiesto anni. New York, per esempio, ha pedonalizzato centinaia di strade e ha permesso a ristoranti e bar di trasformare i marciapiedi e 10mila posti auto in posti a sedere all’aperto. Questi programmi, che hanno aiutato le città a riappropriarsi della vita di strada e sono stati un’ancora di salvezza economica per le imprese durante la pandemia, rappresentano una valida strategia economica anche oggi”.
Quando si trasforma uno spazio, le persone lo adottano e lo fanno proprio.
Ritiene che ci sia ancora una forte resistenza al cambiamento? Quando si innescano questi cambiamenti, è necessario convincere i cittadini? Sono parte del problema o della soluzione?
“Quando abbiamo iniziato a lavorare con il sindaco di Milano Giuseppe Sala nei quartieri di Dergano e piazza Angilberto, ci sono state forti contrapposizioni all’idea di trasformare spazi deputati ai parcheggi in luoghi in cui sedersi e giocare. Molti abitanti erano scettici, credevano che le attività commerciali locali ne avrebbero risentito. Ma dopo molti incontri e l’attuazione di progetti pilota utilizzando solo vernice, fioriere e tavoli da ping pong, la gente ha cominciato a rendersi conto che questi spazi potevano essere trasformati facilmente e anzi funzionare meglio di prima. Dopo la verniciatura, l’installazione delle panchine e delle reti sui tavoli da ping pong, le voci di protesta sono state sostituite da quelle dei bambini che giocavano. Alcuni dei più grandi critici al cambiamento sono diventati persino sostenitori, altri quartieri hanno iniziato a chiedere spazi comunitari sicuri e accoglienti.
Luoghi come piazzale Bacone sono ora parchi giochi per i bambini e aree utilizzate da genitori, nonni e baby sitter prima e dopo la scuola. Sono frequentati a tutte le ore del giorno da bambini che giocano e da cittadini che si incontrano, rigenerando un luogo dove prima passavano solo le auto. Credo che questo sia un aspetto comune a molte città, Milano, Bogotà o Parigi: quando si trasforma uno spazio, le persone lo adottano e lo fanno proprio. Il coinvolgimento della comunità fa parte di questo processo. Non tutti saranno d’accordo. Le persone devono poter esprimere la propria opinione, ma anche se non condividono il progetto, non possono non appoggiare il processo. È molto difficile poi criticare risultati concreti: una volta che si ha uno spazio pubblico bello da vivere e pieno di gente, è difficile sostenere che dovrebbe essere in un altro modo. Non è più uno spazio del Comune, ma della gente. Ecco perché, piazza dopo piazza, le lamentele sono state sostituite dalle voci di altre persone che ora vogliono un luogo così nel loro quartiere”.
Cosa rende davvero grande una città oggi? Esiste una ricetta che gli urbanisti dovrebbero tenere a mente quando progettano e che può essere considerata una vera rivoluzione urbana?
“Ciò che accomuna le grandi città è la libertà che offrono ai loro cittadini, indipendentemente dall’età, dal reddito e dalle capacità individuali. In una grande città non è necessario avere un’auto, né vivere in un determinato quartiere, né essere ricchi per spostarsi in modo facile e sicuro. La maggior parte delle attività quotidiane può essere svolta muovendosi a piedi o con i mezzi pubblici. Le grandi città hanno una grande vita di strada: è questa energia che le rende attraenti, che si tratti di Roma, New York, Tokyo o Il Cairo. Quindi, se volete far crescere una città, seguite la sua gente: osservate i luoghi in cui si riunisce quando ha la possibilità di scegliere e cercate di eliminare gli ostacoli che le impediscono di incontrarsi. Le città devono introdurre cambiamenti nelle loro strade, misurare i risultati per mostrare i vantaggi economici, di traffico e di sicurezza, e poi dare ai cittadini la possibilità di chiedere che questi cambiamenti vengano introdotti nel proprio quartiere, uno dei più grandi risultati che una città possa raggiungere”.
La trasformazione tecnologica ha – e avrà – un impatto significativo sulle città, implementando il concetto di “Smart City”. Quanto contano i dati nella progettazione urbana e nel modo in cui le persone vivranno, lavoreranno, giocheranno e si sposteranno?
“Una delle mie più grandi paure è che le città siano in grado un giorno di portare sulle strade auto senza conducente, ma non riescano più a creare una strada dove un bambino possa andare a scuola a piedi o in bicicletta in tutta sicurezza. Spero piuttosto che l’automazione e la MAAS (Mobility-as-a-service) possano fornire alternative all’uso delle auto private. Ma non voglio considerare solo una soluzione di primo miglio-ultimo miglio, che colmi le lacune senza sistemare quello che è davvero un sistema al collasso: città senza marciapiedi collegati, attraversamenti sicuri, fermate e stazioni di trasporto pubblico protette. Abbiamo bisogno di città in cui il primo e l’ultimo miglio siano percorribili, utili e facili da percorrere a piedi o in bicicletta. La tecnologia può rendere le città più efficienti, reattive, sostenibili ed eque, spero non venga utilizzata solo per creare città intelligenti in cui siano cambiate semplicemente le auto in circolazione, sostituite con mezzi meno inquinanti e senza conducente. Guidare deve essere una scelta, non un obbligo. E la tecnologia deve essere messa al servizio della riprogettazione urbana in modo da servire più persone in modo più sicuro ed equo.”