Scegliendo il titolo Freespace per la 16ma Mostra Internazionale d’Architettura della Biennale di Venezia le irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara hanno voluto garantire che avrebbero affrontato un tema abbastanza vasto da abbracciare ogni genere di interesse politico e sociale dell’architettura contemporanea e della cultura in generale. E, se nelle giornate inaugurali della Biennale 2018 molti hanno criticato l’esagerata ampiezza del tema e la carenza di filoni precisi della mostra principale, due padiglioni nazionali hanno assunto Freespace come punto di partenza per discutere la condizione contemporanea dell’Europa, a quasi due anni di distanza dal referendum che ha sancito la prospettiva dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Da un lato Island, il padiglione britannico, tocca temi come “l’abbandono e la ricostruzione, il sacrario e l’isolamento, il colonialismo, il cambiamento climatico e la nostra situazione attuale”, mentre dall’altro lato, con Eurotopia, i belgi esprimono un commento sul resto dell’Europa.
“Un’isola può essere un rifugio o un luogo d’esilio”, affermano i tre curatori del padiglione britannico della Biennale di quest’anno, gli architetti Adam Caruso e Peter St John con l’artista Marcus Taylor. Grazie a strategie semplici ma decisamente efficaci mettono in discussione il ruolo della Gran Bretagna in Europa e la situazione di paese che presto diventerà un’isoletta ai margini del continente. Lo spazio interno del padiglione è stato lasciato vuoto, una specie di fantasma che mostra le tracce di mostre precedenti. All’esterno delle impalcature suggeriscono una situazione di cambiamento – ricostruzione e restauro – e danno accesso a una nuova piattaforma costruita a livello del tetto. Fatta di legno, decorata con un motivo che intesse grigi e bruni, la piattaforma allude a un nuovo, ottimista inizio che guarda in avanti tenendo nel debito conto il passato. E, secondo la tradizione britannica, sulla piattaforma, ogni giorno alle quattro del pomeriggio, viene servito il tè. In mezzo alla piattaforma il tetto emerge come un’isola, offrendo (specialmente visto dall’alto) un’incisiva metafora dell’attuale atmosfera di perdurante incertezza che regna oggi in Gran Bretagna. Ispirandosi alla Tempesta shakespeariana Caruso e St John, sottilmente ma in bellezza, suggeriscono che la Brexit è una specie di naufragio.
Dall’altro lato dei Giardini il Belgio, ancora saldamente al centro dell’Europa, presenta un padiglione dal titolo altrettanto laconico: Eurotopia, un porto sicuro dove i cittadini costruiscono la nuova Europa. In un bianco padiglione immacolato i curatori – lo studio Traumnovelle (Manuel León Fanjul, Léone Drapeaud e Johnny Leya), insieme con Roxane Le Grelle, hanno costruito un agorà color blu (europeo) oltremare. Lo spazio del dibattito è fatto per diventare un piccolo anfiteatro dove discutere temi e problemi cui l’Unione Europea si trova di fronte. Nel fine settimana dell’inaugurazione professionisti e politici belgi hanno discusso dello stato dell’architettura nel loro paese. Ma lo spazio mette anche in discussione l’essenza stessa di che cosa sia una mostra d’architettura. È uno spazio partecipativo e, grazie all’allestimento, trasforma il rapporto con il padiglione reale.
I padiglioni che propongono un’affermazione forte, spesso usando apparati semplici per esprimere commenti politici, alla Biennale di Venezia sono sempre stati molto popolari. Nel 2003 l’artista spagnolo Santiago Sierra con Palabra tapada nascose la parola ‘España’ sul padiglione del suo paese e pose una guardia all’ingresso dell’edificio, permettendo l’ingresso solo ai visitatori in possesso di un passaporto spagnolo. E chi riusciva a entrare trovava solo i resti delle mostre passate. Pochi anni dopo, nel 2008, lo studio Kersten Geers David Van Severen presentò nel padiglione belga From 1907… After the Party. Rinchiusero il padiglione tradizionale in un recinto alto sette metri fatto di normali palizzate italiane, distinguendo l’architettura classica del padiglione dall’effimero e più contemporaneo aspetto della palizzata. Il pavimento era coperto da uno strato di coriandoli, come se fosse appena terminata una festa. Con questa pregevole opera gli architetti belgi suggerivano che l’esigenza più impellente dell’architettura non è di essere esposta in una mostra, ma di essere costruita.
Per essere davvero efficaci tuttavia gli interventi di questo genere devono essere estremamente ben costruiti e ben realizzati. Se Caruso e St John, con la loro poetica sensibilità costruttiva, hanno creato una piattaforma semplicissima e decisamente elegante, i belgi, membri di un gruppo di architetti molto più giovani e con scarsissima esperienza di costruzioni, non sono riusciti, evidentemente, a controllare tutti i particolari del loro intervento, per altro molto incisivo. Nelle giornate calde la temperatura all’interno del padiglione belga si fa insopportabile, rendendo difficilissimo fermarcisi come in un luogo destinato alla discussione.
L’Europa è in crisi e i Giardini della Biennale offrono la rappresentazione geopolitica di un mondo che è scomparso da tempo. E tuttavia, grazie a una semplice modifica del padiglione britannico e all’apertura di una nuova prospettiva sul paesaggio a verde, lo studio Caruso St John mette realmente l’architettura al servizio della politica. Hanno ottenuto una menzione speciale, ma probabilmente meritavano un Leone d’Oro.
- Padiglione del Belgio:
- Eurotopie
- Curatori:
- Traumnovelle and Roxane Le Grelle
- Curatori:
- Caruso St John Architects, Marcus Taylor
- Padiglione della Gran Bretagna:
- Island
- Date di apertura :
- 26 maggio – 25 novembre 2018