Dopo averla visitata proponiamo una selezione dei padiglioni da vedere alla Biennale di Architettura di Venezia 2021, curata da Hashim Sarkis, dal titolo “How will we live together?”. L’esclusione di certi padiglioni, come Italia o Germania, dipende principalmente dalla difficoltà di fruizione, con allestimenti quasi respingenti. Se da un lato questa Biennale è scenograficamente suggestiva, dall’altro la volontà di inserire più storie possibili l’ha resa caotica, e frammentata: a posteriori viene da pensare che sarebbe stato bello veder messa in pratica la “togetherness”: cos’avremmo visto se tutti questi grandi nomi avessero lavorato a un progetto collettivo? Un tentativo è stato il Curators Pavilion, un processo di confronto tra curatori che però è rimasto, chiaramente, nella pura sfera teorica. Per quanto riguarda i Padiglioni Centrali il suggerimento è quello di avanzare lentamente e rilassatamente, perché molte delle tematiche affrontate meritano attenzione, nonostante l’interfaccia difficile. Infine, chi ha vinto il Leone d’Oro? Lo sapremo lunedì 30 agosto 2021, con una giuria di quasi solo donne presieduta da Kazuyo Sejima. La data è stata posticipata rispetto al tradizionale sabato di apertura per venire incontro a quei partecipanti che non sono riusciti a completare gli allestimenti in tempo a causa dei rallentamenti dovuti alla pandemia (ad esempio Perù).
Guida aggiornata alla Biennale di Architettura di Venezia 2021
Una selezione dei nostri padiglioni preferiti tra Arsenale, Giardini ed eventi collaterali (solo di architettura) e una guida pratica su come visitarla.
“Chileans and Mapuche: Building places to get to know each other (KÜNÜ), Building places to parley (KOYAÜ-WE)”, a cura di Alejandro Aravena, Gonzalo Arteaga, Víctor Oddó, Diego Torres, Juan Cerda). Arsenale, all’esterno. Foto Marco Menghi per Domus
“American Framing”, a cura di Paul Andersen, Paul Preissner. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Open!” a cura di Ippolito Pestellini Laparelli. Commissario Teresa Iarocci Mavica. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Testimonial Spaces”, a cura di Emilio Marín, Rodrigo Sepúlveda. Arsenale. Foto Marco Menghi per Domus
“Structures of Mutual Support”, a cura di Framework Collaborative (GK Enchanted Farm Community, V. Khadka Jr., Alexander Eriksson Furunes). Arsenale. Foto Marco Menghi per Domus
“Con-Nect-Ed-Ness”, a cura di Marianne Krogh. Commissario Kent Martinussen / Danish Architecture Center. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Platform Austria” a cura di Peter Mörtenböck, Helge Mooshammer. Commissario Ministero per le Arti, Cultura, Servizio Civile e Sport – Sezione Arti e Cultura. Foto Stefano Rossi
“A Roof for Silence”, a cura di Haa Wardé. Commissario Jad Tabet. Evento Collaterale, Magazzini del Sale, Dorsoduro 266, Venezia. Foto Alain Fleischer
“Entanglement”, a cura di Annex (Sven Anderson / Alan Butler / David Capener / Donal Lally / Clare Lyster / Fiona McDermott). Commissario Culture Ireland. Arsenale. Foto Marco Menghi per Domus
“Composite Presence”, a cura di Bovenbow Architectuur. Commissario Flanders Architecture Institute. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Mahalla: Urban Rural Living”, a cura di Emanuel Christ e Christoph Gantenbein / ETH Zurich, con la ricerca di Victoria Easton. Arsenale. Foto di Marco Menghi per Domus
“Three British Mosques”, a cura di Shahed Saleem, Christopher Turner, Ella Kilgallon. Arsenale. Foto Marco Menghi per Domus
The Garden of Privatised Delights”, a cura di Manijeh Verghese e Madeleine Kessler / Unscene Architecture. Commissario Sevra Davis / Direttore di Architettura, Design e Moda al British Council. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Land. Honey. Milk”, a cura di Dan Hasson, Iddo Ginat, Rachel Gottesman, Yonatan Cohen, Tamar Novick. Commisari Michael Gov, Arad Turgeman. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“La Casa Infinita”, a cura di Gerardo Caballero. Commissario Juan Falú. Arsenale. Foto di Marco Menghi per Domus
“How will we live together?”, a cura di Hashim Sarkis. Arsenale – Corderie e Artiglierie. Foto Marco Menghi per Domus
“Future School”, a cura di Hae-Won Shin. Commissario Arts Council Korea. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Co-ownership of Action: Trajectories of Elements”, a cura di Kozo Kadowaki. Commissario The Japan Foundation. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Wetland”, a cura di Wael Al Awar e Kenichi Teramoto. Commissario Salama bint Hamdan / Al Nahyan Foundation. Arsenale. Foto di Marco Menghi per Domus
“Fading Borders”, a cura di Ştefan Simion e Irina Meliţâ. Commissario Attila Kim. Giardini della Biennale. Foto Giulia Di Lenarda, Giorgio De Vecchi per Domus
“Non-Extractive Architecture: On Designing without Depletion”, a cura di Space Caviar. Collaterale, V-A-C Zattere, Dorsoduro 1401, Venezia. In questa foto XYZ CARGO MOBILE LIBRARY di N55/ Ion Sørvin and Till Wolfer. Foto Marco Cappelletti
“Sapere come usare il sapere”, a cura di Giovanna Zabotti. Partecipanti Michele De Lucchi / AMDL CIRCLE, Emilio Casalini. Commissario Maurizio Carlin. Giardini della Biennale. Foto Filippo Bolognese
“Primitive Migrations”, a cura di Divooe Zein, (Tseng Chih-Wei), Wei-Lun (Frank) Huang. Partecipanti Divooe Zein Architets, siu siu – Lab of Primitive Senses. Supervisore Ministero della Culture, Taiwan. Collaterale, Palazzo delle Prigioni, Riva degli Schiavoni 4209, Venezia. In questa foto: Siu siu–Lab of Primitive Sense by DivooeZein Architects, Taipei 2014. Foto Jetso Yu
“The Restroom Pavilion”, a cura di Matilde Cassani, Ignacio G. Galán, Iván L. Munuera. Giardini della Biennale. Foto Marianna Guernieri
“Impostor Cities”, a cura di David Theodore. Commissario Canada Council for the Arts. Giardini della Biennale, foto Marianna Guernieri
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- Marianna Guernieri
- 24 maggio 2021
- Biennale di Architettura di Venezia
- 2021
Venendo alle questioni pratiche, per una visita ottimale è bene evitare di andare al mattino presto, soprattutto nel fine settimana, per via delle infinite code per entrare ai Giardini e all’Arsenale, allungate dai controlli serrati dovuti al Covid. Una volta dentro, e con le dovute dispersioni, i flussi saranno invece assolutamente sostenibili poiché, di fatti, ci sono pochissimi visitatori a Venezia: in pausa pranzo non c’è nessuno. Attenzione agli spostamenti in vaporetto che hanno gli accessi a bordo contingentati e lasciano salire a bordo pochissime persone nelle tratte più battute (oltre agli scioperi recenti che hanno destabilizzato la programmazione): meglio spostarsi a piedi. Gli eventi collaterali devono essere tutti prenotati per tempo e così anche i posti a sedere nei ristoranti e nei bàcari, soprattutto nei sestieri più battuti di Santa Croce, San Polo e San Marco. Più liberi Castello, Cannaregio e Dorsoduro. In una seconda guida proporremo gli eventi collaterali legati a design e arte. Sfoglia la gallery per scoprire i padiglioni.
Uno dei lavori più belli in questa Biennale. Un muro circolare fatto di pali di legno grezzi e ostili che riproducono quelli che venivano eretti dagli spagnoli nei territori conquistati per delimitare un “parlamento”: questo spazio servirà per far parlare tra loro due popoli da sempre in conflitto: i Mapuche e i cileni. Nello specifico, seduti a questo tavolo ci sono un’organizzazione territoriale mapuche e un’impresa forestale cilena. Entrambi vivono nello stesso territorio ed entrambi capiscono che gli scontri non hanno risolto i loro problemi.
Un bellissimo padiglione che parla della tecnica costruttiva più democratica degli Stati Uniti: il balloon frame. Facile da costruire, economico e figlio di un popolo di migranti. Un sistema costruttivo da sempre fuori dai discorsi sull’architettura finalmente trova la sua dovuta legittimazione. Una vera architettura per l’autodeterminazione abitativa, trionfo del fai-da-te.
Sintesi vincente di tutto il lungo iter a cui il padiglione è andato incontro negli ultimi due anni. “Il padiglione parla di sé stesso, dell’idea stessa di istituzione alla Biennale”, ci spiega il curatore Ippolito Pestellini Laparelli. La mostra si suddivide quindi in tre momenti: uno teorico, con i contributi di nomi di punta sul ruolo delle istituzioni raccolto in un volume; uno pratico, con la magnifica ristrutturazione del padiglione da parte dello studio russo-giapponese KASA, e la loro poetica proposta progettuale esposta lungo le pareti tramite illustrazioni; uno interattivo, con videogiochi multi-player a cui giocare al piano terra che unisce comunità fisica e digitale.
Insieme a un team di storici e di studenti di arte i curatori raccolgono 500 testimonianze di vita e le trasformano in 500 quadri a olio che le rappresentano. Le testimonianze riguardano ricordi di vita passata e presente in uno dei più emblematici insediamenti abitativi di Santiago: il José Maria Caro, a sud della circonvallazione periurbana di Santiago. Grazie alla pittura i messaggi diventano universali, e ringraziamo i curatori per questo generoso spaccato di vita comunitaria.
Tra i migliori padiglioni nazionali all’Arsenale, qui il team curatoriale filippino-norvegese ci fa conoscere una pratica di autocostruzione e costruzione comunitaria e solidale che avviene nelle Filippine, fondamentale quando i territori vengono spazzati via da tsunami e uragani, con amministrazioni lente o quasi assenti. La biblioteca di legno che vediamo allestita in Arsenale è un progetto realizzato proprio in una di queste comunità che tornerà nel villaggio originario una volta conclusa la Biennale. Vengono prese in considerazione pratiche di questo tipo che avvengono in giro per il mondo, anche in Norvegia.
La casa dei sogni. Rivoli d’acqua piovana che ricordano le Domus romane, tisane, orti e vasche d’acqua su cui sedersi e rilassarsi. Un’idea di architettura olistica e vicinissima al nostro desiderio di bellezza da vivere nel quotidiano e negli interni.
Uno dei pochissimi padiglioni ad aver parlato di piattaforme digitali, capitalismo della piattaforma e, nello specifico, di architettura della piattaforma. Ormai le app fanno parte del nostro presente e l’architettura non può non occuparsene. Da vedere.
Nato da una ricerca sugli ulivi centenari su cui si dice si sia posata la colomba della fine del diluvio universale la mostra è una raccolta emotiva e artistica di metafore: il silenzio, l’esplosione, la natura. Allestito all’interno dei magnifici Magazzini del Sale, è una mostra completa che non lascia nulla al caso e unisce arte, architettura, poesia e musica. Da vedere.
La grande e rumorosa installazione che campeggia nello spazio del padiglione è curata da Annex, un collettivo di architetti, artisti e urbanisti. La riflessione si incentra sulla relazione fra il paesaggio irlandese con le infrastrutture digitali. Negli ultimi decenni, infatti, il Paese si è popolato progressivamente di data center – ultima impennata legata Brexit – arrivando oggi a ospitare il 25% di queste strutture nel continente europeo. Telai metallici, cavi per la trasmissione dei dati e ventilatori definiscono un padiglione dal forte impatto visivo, in cui si sviluppa la ricerca del collettivo. Giulia Ricci
Il padiglione che qualsiasi architetto può apprezzare: una rassegna in forma di libidinosi modellini in carta e legno di oltre 40 progetti realizzati nelle Fiandre. Il soggetto sono i comuni edifici a schiera fiamminghi (Vallonia non pervenuta).
Grande atteso di quest’anno e per la prima volta alla Biennale (con tanto di mega yacht attraccato in Laguna), il padiglione uzbeko si affida a un team curatoriale d’eccezione – una cordata tra la Union of Architects of the Republic of Uzbekistan, il Tashkent Institutte of Architecture and Civil Engineering ed ETH Zurich – per parlare di mahalla, gli agglomerati di case tradizionali nonché spazi comunitari che possono ospitare dai 150 ai 2.000 abitanti e che sono a rischio di estinzione con la nuova urbanizzazione del Paese. L’allestimento effimero è fatto di tubolari gialli che ne rappresentano i profili, unito a un lavoro audio che è diventato un disco in vinile già introvabile e un lavoro fotografico di Bas Princen.
Preso dal Guardian come l’unico esempio di buona curatela (guarda a caso), il padiglione del Victoria & Albert Museum è una mostra in forma classica che parla di moschee a Londra come esempi di luoghi nati dal basso, relativamente spontanei e comunitari, riportando a Venezia parti di moschee storiche in scala 1:1.
Una riflessione sull’inesorabile privatizzazione degli spazi pubblici nel Regno Unito, e sulla perdita di spazi per la collettività come il pub, per via del Covid. Il padiglione, molto scenografico usa il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch come metafora, un po’ cervellotica, del senso che svolge oggi lo spazio pubblico privatizzato. Una via di mezzo tra inferno e paradiso.
Inaugurato in giorni molto difficili per Israele, il padiglione tocca un tema universale in modo chiaro e toccante: il contraddittorio rapporto con gli animali e con la terra agricola della cosiddetta “terra del latte e del miele”, la regione compresa fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, terra santa e promessa e il contesissimo territorio di Israele e Palestina.
“Nella casa infinita non si entra, si è sempre al suo interno”. Con un allestimento molto semplice e suggestivo, la casa infinita è un collage di progetti – realizzati e non – di case popolari in Argentina (ma che potrebbero appartenere a qualsiasi altro paese) e che rappresentano l’abitare collettivo.
Una successione di allestimenti spettacolari che partono idealmente dalla scala umana fino ad arrivare al sistema solare e oltre. Un accumulo di progetti e ricerche firmati dai protagonisti intellettuali contemporanei del mondo del progetto: da vedere con pazienza poiché non sono sempre supportati da una comunicazione facile. “Il senso di comunità si sta erodendo di fronte al crescente individualismo, che a sua volta porta a un ulteriore isolamento, ma nuove forme di interazione tra individui e tra individui e altre specie stanno compensando parte di questa solitudine”, si legge nell’introduzione.
Il padiglione è convertito in un incubatore internazionale di pensiero radicale in cui si immagina la scuola del futuro (piena zeppa di regole comportamentali): uno spazio aperto, accogliente, con un tappeto di fieno, dove potersi soffermare in una placida stanza di carta con tanto di prese elettriche.
Una comunissima e anonima casa di legno giapponese viene smantellata, le sue parti catalogate, e spedita a Venezia per la Bennale. La ricostruzione è accidentata a causa delle difficoltà del Covid e reinterpretata in modo fantasioso, portando con sé questo importante messaggio: “Le tue azioni non sono soltanto tue. Ognuna di esse, per quanto banale, è il risultato di innumerevoli azioni cumulative nate dalle nostre relazioni reciproche. Pertanto, è assurdo affermare che le nostre azioni appartengono esclusivamente a noi stessi”.
Gli Emirati Arabi Uniti decidono di abbandonare il cemento e si interrogano su quali possano essere i materiali alternativi: propongono il sale, antico materiale da costruzione usato ad esempio nella città di Siwa in Egitto. Sale non estratto dal suolo (processo non sostenibile da un punto di vista ambientale) ma cristallizzato come nelle saline dette sabkhah. Il progetto è una ricerca portata avanti dagli scienzati di tre università: la New York University Abu Dhabi, Università di Tokyo e l’American University di Sharjah.
Che vita fanno gli expat romeni in Europa? Un viaggio nelle vite di persone normali: un rapper, una comunication manager, un contadino, in paesi europei come la Spagna. Nel 2007, infatti, 3,4 milioni di persone hanno lasciato il paese, mentre l’immigrazione del paese quadruplicava. Quali, le implicazioni urbanistiche di questo processo? Il tutto raccontato da Away, il reportage di Teleleu, dal progetto curatoriale Fading Borders e dalla ricerca Shrinking Cities Romania.
L’istituzione culturale di Mosca diretta da Teresa Iarocci Mavica e Leonid Mikhelson affida per la sua sede veneziana a Joseph Grima che in occasione della Biennale ha organizzato la mostra-laboratorio-residenza temporanea “Non-Extractive Architecture: On Designing without Depletion”. Gli spazi della Fondazione, da poco ristrutturati, ora ospitano laboratori di falegnameria, stanze espositive e biblioteche mobili per i residenti invitati a partecipare, all’insegna dell’autocostruzione, della condivisione del sapere e, soprattutto, del riuso e riciclo in architettura. La residenza durerà sei mesi, mentre il lavoro espositivo e di ricerca sarà in itinere e continuerà tutto l'anno.
Interamente affidato a Michele De Lucchi che non tradisce le aspettative. In mostra un percorso di modellini di legno per suggerire visioni di un’architettura futura dettata da ordine, armonia e bellezza.
Gli architetti taiwanesi Divooe Zein Architects da quasi vent’anni realizzano l’utopia che in molti si prestano ad affrontare solo oggi. Al Palazzo delle Prigioni uno dei migliori allestimenti della Biennale 2021. In mostra i lavori dello studio, che adotta un approccio olistico che tiene in considerazione natura, arte, musica, scienza e architettura. Il modellino nella seconda stanza è quello del loro studio realizzato con tecniche costruttive inventate da loro. Lo spazio è molto buio, ma di proposito, per stimolare i sensi animali e rallentare il passo.
Questa mostra ai bagni pubblici della Biennale avrebbe potuto esprimere tutto il suo potenziale se le didascalie fossero state applicate nelle porte interne dei singoli bagni. Detto questo, qui emergono tematiche sensibili, come le normative, gli ecosistemi e le regolamentazioni legate all’accesso all’acqua. Lo vedrete per forza ed è connesso a un’altra esposizione sui bagni come luoghi della protesta allestita al Padiglione Centrale dell’Arsenale intitolata “Your Restroom is a Battleground”.
Molti hanno creduto che non ci fosse nessuna mostra. La porta si sarebbe dovuta aprire tramite un QR code, ma era sempre chiusa. Di curioso c'è che è l’architettura stessa del padiglione a mettersi in mostra, rivestita da un telo verde, un green screen che indaga la presenza distorta dell’architettura nei film, nei documentari e nel mondo virtuale in generale. Benché sia poco, è pur sempre geniale.