Caroline Weaver, The Pencil Perfect, The Untold Story of a Cultural Icon, Gestalten, Berlino 2017.
Ode alla matita
Un prezioso libro raccoglie una storia poco conosciuta, quella di un piccolo oggetto leggero e senza tempo – la matita – che ci sta vicino da sempre e con discrezione, sui tavoli e tra le dita.
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- Mauro Panzeri
- 16 giugno 2017
- New York
Se scrivo Caran d’Ache, Faber-Castell, Koh-i-Noor, Staedtler, Conté crayons sono certo che qualcosa affiori dal profondo della memoria, anche se ormai si sono dimenticate le matite da anni, quando si è deciso scrivere e far di conto con altri strumenti più ingombranti e complessi e si è abdicato alla firma, scegliendo quella elettronica. Per questo il volume di Caroline Weaver dedicato alla matita fa al caso nostro: aiuta a rimettere insieme ricordi, gesti incerti, punte spezzate e fogli disegnati quando si era bambini e poi riposti negli album di famiglia come piccoli doni della vita, anche se non si è mai stati dei talenti del disegno. E forse farà guardare con affetto quel mozzicone di matita, là in fondo al cassetto, che chissà perché non abbiamo mai avuto il coraggio di gettare.
Nel generale appassionato recupero di strumenti e tecniche analogiche dimenticate (il disegno a mano, i timbri, il bulino, la stampa a torchio, la serigrafia, la composizione con i piombi), effetto un po’ snob del rifiuto di un lavoro standardizzato al computer, quello della matita ha un posto a sé. La sua storia, ci racconta l’autrice, è unica e piena di sorprese. Mette insieme tradizione centenaria, la scoperta nell’Inghilterra del XVI secolo di un giacimento di grafite purissima, i materiali come l’argilla e il legno (l’acero rosso o il pioppo), le tecniche di produzione che passano nel tempo dall’artigianato all’industria e al design, e poi altri dettagli, non meno importanti: la durezza delle mine (da F a H fino a B, chi non lo ricorda?), i temperamatite di ogni forma e le gomme (perché prima si cancellava con la mollica di pane).
Ma anche grandi battaglie commerciali tra vecchio e nuovo mondo, Esposizioni Universali, trasferimenti d’impresa negli Stati Uniti, grandi commerci, persino l’eccellenza produttiva del Giappone con la matita Mitsubishi 9800. E poi i personaggi che l’hanno inventata e dei quali le matite portano ancora il nome. Quelli che la sapevano usare con grande perizia, come Walt Disney; oppure Vladimir Nabokov che, con la matita Blackwing della Faber, ci scriveva i suoi romanzi. La Weaver segue un filo storico ma poi sa divagare. Racconta di matite profumate, di come si fanno le matite e delle loro forme, esagonali, triangolari, tonde. Effimera, tattile e fisica: la matita connette mano e cervello in un modo che oggi mouse e monitor non possono fare, ci racconta in chiusura. Se nell’arte la matita vive ancora, che succederà nel quotidiano? Rimarrà nelle liste degli acquisti per la scuola? Sarà un’icona del passato? L’autrice non dà risposte e sicuramente ha scritto il suo libro con l’aiuto indispensabile di un computer ma, ne sono certo, ha preso appunti e ne ha corretto le bozze con la sua immancabile compagna: una semplice matita.
L’autrice Caroline Weaver vive a New York e ha un negozio di matite nell’East Village: CW Pencil Enterprise dove si trovano tutte le matite del mondo (o quasi). Nel volume, tutte le illustrazioni in bianco e nero, dalla copertina ai mozziconi di matita nei risguardi, agli still life, alle vecchie grafiche, ai ritratti e ai paesaggi, sono di Oriana Fenwick che le ha rigorosamente tutte disegnate a matita, con qualità e splendore iperrealista.
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