Pasqualino Solomita, Pier Luigi Nervi. Vaulted architecture towards new structures, Bononia University Press 2015
Architetture voltate
Pubblicato in inglese dopo aver vinto il Premio Bruno Zevi, il libro descrive un ambito estremamente circoscritto del lavoro di Pier Luigi Nervi: le grandi coperture, raccontate come la sua ossessione.
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- Andrea Angeli
- 15 gennaio 2016
- Milano
Pasqualino Solomita, architetto e dottore di ricerca, stringe la lente su un ambito estremamente circoscritto del lavoro di Nervi: le grandi coperture, dipinte come la sua ossessione.
Nel libro si ripercorrono i passi dell’ingegnere verso il sogno di realizzare la cupola più grande del mondo, raggiunto solo sulla carta con i progetti per l’ippodromo di Richmond (1960–1961) e il Kuwait Sport Centre (1968).
Il saggio, vincitore della settima edizione del Premio Bruno Zevi, esce pubblicato da Bononia University Press quasi due anni dopo la proclamazione, ampliato e arricchito anche nell’apparato iconografico. Solomita racconta un Nervi ispirato dall’architettura gotica e dalla sua onestà espressiva che esalta il sistema strutturale. Un Nervi presentato in prima persona, citando le sue stesse parole, raccolte con un attento lavoro di ricerca tra libri, riviste e archivi. Un Nervi padrone di sistemi costruttivi, da lui stesso inventati, ma forse meno preparato o interessato a lavorare con materiali lontani dal cemento, come l’alluminio. L’autore riserva la parte iniziale del libro alla descrizione del panorama mondiale di ricercatori che vedono nella modellazione della forma e nell’ottimizzazione della sezione le risposte più economiche, funzionali ed espressive alle esigenze architettoniche del ventesimo secolo. Un focus per contestualizzare e comprendere meglio Nervi, grazie al confronto con altri ingegneri stranieri che parallelamente svolgevano sperimentazioni analoghe.
L’ingegnere italiano è riconosciuto globalmente come uno dei maestri del ferrocemento e del calcestruzzo armato, materiali studiati durante il periodo delle restrizioni autarchiche e poi sperimentati nella prima copertura per macchine agricole a Torre in Pietra, nel 1945. Una sorta di punto zero per tutte le variazioni sul tema di cupole e volte che riuscirà a realizzare negli anni successivi. Un percorso che il libro segue in ordine quasi cronologico e con un crescendo di superfici coperte. Solomita dedica profonda attenzione e meticolose descrizioni alle modalità con cui Nervi metteva in pratica le teorie costruttive, ne compara le diverse soluzioni adottate, e dimostra come il valore espressivo sia frutto delle leggi statiche. Proprio come lo stesso ingegnere scriveva su Casabella-Continuità nel 1959: “Le soluzioni architettonicamente migliori sono quasi sempre quelle che più esattamente interpretano gli schemi statici”.
Ma dopo la disamina di diversi progetti, tra cui il Palazzo dello sport di Roma (1958–1960) e il Cultural Convention Center di Norfolk (1965–1971), realizzati in ferrocemento e con una luce massima coperta di 100 metri, il saggio affronta il tema delle mega strutture metalliche che avrebbero permesso di triplicare le estensioni raggiunte. Un ambito che ci allontana dal Nervi più conosciuto, ma che viene per la prima volta affrontato in uno studio preliminare commissionatogli dalla più grande società di produzione di alluminio dell’epoca, la Reynolds Metals Company. Una volta ad arco parabolico di 400 metri di luce e 80 di altezza che avrebbe coperto l’ippodromo di Richmond, in Virginia. Questo primo approccio, abbozzato su carta da schizzo con schemi e calcoli, è ritenuto da Solomita un passo fondamentale per la formulazione della successiva proposta progettuale del Kuwait Sports Centre (1968).
Tale proposta di concorso è caratterizzata da uno schema planimetrico quadrato con doppio asse di simmetria, al centro del quale si colloca lo stadio coperto da una cupola metallica di 300 metri di diametro. Un’enorme bolla trasparente, generatrice di tutto l’impianto planimetrico, rivestita con un materiale plastico che lascia penetrare la luce in inverno ma che viene schermato con un sistema oscurante in estate. La copertura immaginata, ancora una volta, non è in ferrocemento ma usa tecnologie derivate da sperimentazioni aerospaziali ed è basata su un sistema prefabbricato di aste metalliche incernierate, abbastanza lontano dalle tecnologie classiche adottate da Nervi. Molti sono gli aspetti anomali di questo progetto e l’autore li racconta portando anche testimonianze dirette che ricostruiscono, in parte, le fasi di studio. Un lavoro di ricerca attento che lascia incerti sulla reale convinzione dell’ingegnere di abbandonare i sentieri tracciati per seguire strade più adeguate ai tempi. Tempi che, come giustamente l’autore fa notare, sono pervasi delle innovative teorie degli Archigram e delle strutture geodetiche di Buckminster Fuller che sicuramente affascinavano almeno i membri più giovani dello Studio Nervi.
La proposta presentata, alla fine non convince la giuria e resta l’ennesimo tentativo del maestro di coprire superfici sempre più ampie e di estendere le proprie capacità verso limiti sempre più estremi. Ambizione forse non concretizzatasi con i numeri ma sicuramente raggiunta con la raffinatezza e la qualità formale delle sue architetture voltate.
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