Philippe Thomé, Ettore Sottsass, Phaidon-Electa, 2014, pp. 500.
Indomabile creatività
La recente monografia su Sottsass è un contenitore ricco e complesso come il protagonista che, da precursore, ha segnato una svolta profonda nella cultura progettuale del Novecento.
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- Francesca Acerboni
- 11 luglio 2014
Più che un volume, una metaforica scatola: la recente monografia su Ettore Sottsass è un contenitore che si spalanca sull’intreccio indissolubile di opera e vita di un personaggio carismatico e unico, precursore nelle diverse fasi del suo tempo: ora radicale e controcorrente, ora malinconico e ironico, intellettuale proto-hippy e ludico, ma sempre e comunque intuitivo e ante-litteram; coerente e perspicace, ma aperto a cambiare rotta, nei vari passaggi storici ed esistenziali che ha attraversato nel Novecento, dagli anni della Grande Guerra agli anni Zero.
Dalla scatola-libro, non casuale metafora delle sue collezioni – ma si pensi anche al progetto di Superbox – emerge la personalità articolata di Sottsass, tra schizzi e progetti di architettura, disegni e pitture, cartoline e scritti. Poi, le fotografie, analizzate nell’interessante saggio di Francesco Zanot: quelle che lo raffigurano, insieme ai molti personaggi e intellettuali che ha conosciuto, e quelle – migliaia di immagini – scattate da lui stesso con l’intuizione di fissare idee o dettagli – porte, finestre, rocce, alberi, muri – ma soprattutto con la volontà di cogliere l’essenza di altri mondi, diversi dalla cultura occidentale, da quell’establishment culturale milanese in cui vive e lavora: “Non ho mai pensato di fare fotografie come un fotografo. Ero orribilmente curioso, questo è tutto”.
Si avvicina, con ampio anticipo rispetto all’Italia, alla cultura pop americana a causa di una malattia che lo costringe in ospedale a Palo Alto, nel 1962. L’India, visitata un anno prima con la moglie Fernanda Pivano, gli apre un orizzzonte vasto e primordiale sulle origini, che culminerà in modo esplosivo e maturo – nel 1981 – nel movimento Memphis, durato di fatto pochi anni, ma sorprendentemente innovativo, visionario: liberato dal rigido dualismo di forma e funzione, il design di Memphis si fonda su una nuova rivoluzionaria visione sensoriale. I mobili diventano “presenze enigmatiche”, gentili robot domestici, liberi da costrizioni, portatori di colore, forme e simboli.
Sottsass ha un’attività infaticabile e sterminata – quell’“indomabile creatività” di cui parla Fernanda Pivano – che comprende architettura, design, arte, pittura, ceramica, scrittura. È il lavoro di un intellettuale a 360° che, per la prima volta – nonostante altre precedenti pubblicazioni – viene analizzato nel suo insieme, progetto per progetto, in modo sistematico. Pubblicato da Phaidon in inglese in coedizione italiana con Electa, il volume è curato da Philippe Thomé: tra i primi studiosi di Sottsass, ricuce con cura e precisione l’intero percorso cronologico e professionale, suddiviso per soglie storiche e categorie tematiche restituendone un quadro strutturato: biografia, architettura d’interni, ceramica, allestimenti, fotografia, progettazione industriale, scultura e pittura, graphic design. Ma è, soprattutto, un’opera corale, dove studiosi d’eccezione arricchiscono e mettono a fuoco aspetti puntuali del lavoro e della personalità di Sottsass, che si ricompone in un collage complesso e sfaccettato.
Nel saggio di apertura dedicato al design, Francesca Picchi ripercorre lo scorrere del suo lavoro dal dopoguerra fino all’exploit di Memphis inseguendo il filo di un pensiero che ha visto Sottsass impegnato in progetti considerati anche molto diversi tra loro – dall’architettura alla pittura, dalla scrittura alla fotografia – per collegarli, tutti insieme, all’interno di una visione potente e immaginifica, ma in fondo unitaria e originale. La coerenza di questo pensiero è la stessa che lo porta a lavorare per Olivetti inventando un diverso e del tutto nuovo rapporto progettista-azienda e a concepire progetti d’eccezione che hanno accompagnato la trasformazione di un universo dominato dalla meccanica verso un nuovo paesaggio “elettronico”: tra questi il primo calcolatore transistorizzato Elea, del 1959, e la macchina per scrivere Valentine, dirompente nel suo color rosso fuoco.
Al lavoro per Olivetti si affianca, senza fratture o incoerenze, la visionaria ricerca di un nuovo linguaggio, descritto come “un assemblaggio di frammenti e riferimenti diversi (…), fondato sulla circolazione di immagini e sull’innesto di figure di qualunque natura, frutto della sua curiosità per ogni forma di vita, soprattutto le più marginali: un linguaggio aperto al libero scorrere di ogni possibile “situazione bastarda” (come gli capitò di definire il suo amore per le commistioni). Se è stato Memphis a dimostrare che il design è comunicazione è perché – come ricorda George Sowden, intervistato nel saggio – “disegnare una cosa che comunica è molto diverso che disegnare una cosa che funziona: è anche incredibilmente liberatorio”. Questo movimento, che Barbara Radice definì all’epoca del suo primo apparire “brodo di mutazioni in ebollizione”, celebra una nuova libertà espressiva in cui – secondo Picchi – “gli elementi più diversi confluiscono liberamente in un flusso ininterrotto di assemblaggi sempre sul punto di crollare. È il racconto più lirico, poetico di una condizione umana che accetta la sua nuova posizione priva di riferimenti stabili, definitivi, assoluti ed esprime tutto il suo amore per il caos e i suoi accidenti”.
Il saggio di Deyan Sudjic analizza il lavoro di Sottsass architetto e si sviluppa attorno a due fasi ben distinte tra loro: il lavoro in studio con il padre (che muore nel 1953) a Torino, tra progetti di edilizia popolare, chiese e scuole, secondo un approccio organico, vicino a Le Corbusier e al Modernismo mediterraneo; una seconda fase più matura, successiva all’esperienza di Memphis, che corrisponde all’apertura dello studio milanese Sottsass Associati: anni di benessere economico per l’Italia che permettono di realizzare case e ville, “di sviluppare un’architettura più ricca, con colori e materiali esotici. (…) Le case assomigliano a liberi assemblaggi di elementi distinti (...) sembrano piccole città, con edifici singoli raggruppati attorno alle piazze». Sottsass attinge più alla memoria che alla tradizione, dove ritrova «i fondamenti dell’architettura: soglie, ingressi, edicole votive (…) che rappresentano temi ricorrenti in ogni cultura”.
Emily King indaga, invece, quei “sistemi di segni”, che per Barbara Radice sottendono tutta l’opera di Sottsass. Questa ricerca rintracciabile già nelle collezioni di immagini ritagliate e conservate in scatole per «immortalare tutto ciò che vede», sta alla base di una intensa attività grafica ed editoriale, che dalle riviste (Room East 128 Chronicle, Pianeta Fresco o Terrazzo), comprende anche le campagne pubblicitarie dei suoi progetti per Olivetti. In un bellissimo articolo – scritto dopo la morte di Sottsass nel 2007 – Andrea Branzi sostiene che “l’apparente felicità dei suoi segni e la vitalità del suo progetto fossero la risposta sorridente alla percezione della solitudine umana, un breve sollievo al dramma cosmico dell’esistenza”.
Il volume ha un apparato iconografico ricchissmo, intercalato da piccoli meravigliosi fascicoli di schizzi e disegni, libri nel libro. La metaforica scatola-libro – progetto grafico dell’art director Julia Hasting – si chiude con una copertina a trittico, che avvolge completamente il volume, mostrando due ritratti di Sottsass emblematici e divertenti: grandi occhiali tondi, boccata di fumo bianco e, sul retro, la scanzonata, anarchica treccia beat della sua capigliatura.
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