Stefano Catucci, Imparare dalla Luna, Quaderni Quodlibet, 2013, pp. 216.
Imparare dalla Luna
Nel suo saggio, Stefano Catucci, professore di Estetica presso la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza, illustra occhi e mani alternative con cui vedere e additare il corpo lunare.
View Article details
- Francesca Esposito
- 18 aprile 2014
“L’importanza della corsa alla Luna”, scriveva il filosofo tedesco Günther Anders “non è dipesa dall’importanza della Luna. Al contrario, la Luna è diventata importante solo perché ha offerto la possibilità di essere i primi ad arrivarci”.
Detto in altro modo, la Luna non come oggetto da indagare, ma come orizzonte da cui partire per una nuova apertura di senso e una nuova possibilità dello sguardo. Nel saggio Imparare dalla Luna edito da Quodlibet, l’autore Stefano Catucci, professore di Estetica presso la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza, illustra occhi e mani alternative con cui vedere e additare il corpo lunare.
Il manuale è diviso in quattro capitoli che possono essere letti a piacimento e in ordine sparso: Il lato nascosto, Vedere la terra, Musei sulla luna, Visioni della Space Age. Approfondito e ricco di spunti, offre alcuni dettagli insoliti: dalla musica ascoltata e trasmessa dalla base – Fly me to the moon, un lapalissiano must – a miti da sfatare – cosa ha davvero pronunciato Neil Armstrong mettendo i piedi sul suolo pallido? Nell’ultimo passaggio del libro, grazie un apparato iconografico di tavole a colori, ricapitola alcuni episodi artistici e filosofici della prima Space Age, fra il primo lancio dello Sputnik nel 1957 e l’ultima missione americana dell’Apollo 17 nel ’72.
Si parte dall’immaginare prossimi e possibili itinerari: nel 2020, infatti, l’uomo e la donna ritorneranno sulla luna attraverso nuove e archetipiche odissee. Lontani da piccoli e grandi passi, anni dopo storici allunaggi, nuove corse partiranno per arrivare sulla superficie rugosa, partendo da Cina, Russia, Giappone e da oltre 22 consorzi privati che parteciperanno alla fase finale del Google Lunar X Prize. Il premio in questione metterà in palio venti milioni di dollari alla prima squadra privata che riuscirà a fare atterrare sulla Luna una sonda, percorrendo almeno cinquecento metri e trasmettendo immagini in alta definizione.
Vera attrattiva e fiore all’occhiello del turismo lunare sarà l’ossimorico itinerario – a confronto l’idea di futuro con quella di passato – nei primi parchi archeologici della presenza umana nello spazio, che conservano e tutelano i segni tangibili del seguir virtute e conoscenza. Sarà per quella tendenza moderna e contemporanea a musealizzare il passato, i parchi in questione porteranno alla riscoperta di una terra – si scusi il gioco di parole – ricca di cose: impronte, zaini, guanti, calzature, saponi, apparecchi fotografici e 17.000 kg di rifiuti.
Un libro ricco di riflessioni su Selene, come i greci chiamavano la Luna, che torna a essere al centro dell’attenzione mondiale anche per l’insieme di relazioni percettive tratteggiate. Uno degli spunti più interessanti è indubbiamente quello relativo al lato nascosto, che un tempo gli uomini avevano chiamato oscuro ma che gli astronauti, avendo avuto la possibilità di conoscerlo, hanno potuto vedere come parte esattamente identica. D’altronde, come fa notare con ironia il filosofo tedesco Hans Blumenberg, noi umani viviamo del fatto che le facce posteriori delle cose si confondono con quelle anteriori.
Si sancisce, in questo modo, un nuovo paesaggio in una prospettiva fenomenologica: la Luna apre infatti uno spazio che ci si offre come suolo, cioè come un luogo attivamente implicato nei processi di costituzione dell’esperienza. La Luna viene anche narrata e psicoanalizzata anche per quello che rappresenta per la massa. Gli astronauti – dall’indubbia camminata un po’ stupida e chiamati da Pier Paolo Pasolini eroi di prodotto per la società dei consumi, sono le figure vincenti dello sbarco in diretta, il re dei format televisivi. Grazie a loro, infatti, i mezzi d’informazione hanno compiuto una sorta di prova generale, anticipando i contenuti di un mondo in fieri in cui ci perdiamo oggi nel nostro zapping quotidiano.
La Luna, silenziosa, solinga e peregrina, a volte indispensabile per l’occhio umano, altre deludente e archiviata perché non più in grado di offrire un nuovo traguardo, una nuova prima volta, un limite da superare, un record per attirare attenzione. Non solo una palla tonda, inglobata in un cielo notturno o in sogni indicibili, ma un satellite in grado di tratteggiare spazi che sembrano disegnati a matita nella mente. Una luna da cui imparare per riaffermare un tabù, ovvero quell’esigenza di conservare sempre una parte inesplorata, un atto mancato, una parte inviolata che mantenga intatta la nostra aura, per dirla con Walter Benjamin. La Luna, insomma, per vedersi, forse, allo specchio. Come raccontava l’astronauta Bill Anders: “La cosa più importante scoperta dopo il lungo viaggio nello spazio, è proprio la Terra”. Un po’ come a tenere a mente che quel che chiamiamo Terra non è la singolarità di un corpo celeste, ma il terreno trascendentale che sta a fondamento della nostra comune umanità.
Vale la pena, a questo proposito, citare un racconto di Luciano di Samosata, filosofo vissuto nel II secolo d.C. ad Atene, citato nelle pagine del saggio. Catucci ricorda, infatti, le avventure del giovane Minippo che con due ali, ricavate da un’aquila e da un avvoltoio, decise di dedicarsi al volo sulla Luna. L’ardua impresa era quella di sfuggire alle cose vane e meschine della vita di tutti i giorni – vedi alle voci evergreen ricchezze, cariche e potere. Da lassù, pare, siamo solo un assembramento di formiche senza alcuna logica né ordine.