Gio Ponti e il Corriere della Sera, 1930 – 1963, a cura di Luca Molinari e Cecilia Rostagni, Fondazione Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 2011 (pp. 950, € 45)
"Qui non si vuol parlare di architettura dal punto di vista artistico, cioè di tutte quelle questioni dell'architettura moderna che sono state e sono tuttora oggetto di fierissime polemiche, di adesioni appassionate e di riluttanze colleriche".
L'incipit di Architettura per noi di Gio Ponti uscito sul Corriere della Sera, il 10 febbraio 1935 dà l'esatta misura del registro espressivo caratteristico dei 130 articoli, tutti appositamente preparati e inediti, firmati dall'architetto, designer, polemista, docente universitario milanese per il quotidiano più diffuso d'Italia, dall'aprile 1930 all'agosto 1963. Del resto la raccomandazione rivoltagli dal direttore Aldo Borelli nel settembre 1933 di "tenersi su un tono espositivo evitando interferenze con la critica artistica", aveva stabilito con esattezza la cornice entro cui era consentito muoversi a Ponti nell'esercizio di questo suo nuovo incarico presso il giornale: due articoli al mese aventi per oggetto "la casa e tutti i problemi ad essa attinenti". Lo dimostrano i titoli dei suoi primi contributi: distribuzione e proporzioni degli ambienti, i colori nell'arredamento, divagazione sulle terrazze, casa per famiglie numerose, l'arredamento semplice, comperando un appartamento, l'ubicazione della casa, le porte, pavimenti e tappeti, case comode per gente ordinata…
Titoli che identificano temi estranei non solo alla critica d'arte, tradizionalmente riservata nello stesso giornale alla penna di Ugo Ojetti, ma persino al discorso, specialistico e autoreferenziale, della speculazione accademica o della teoria, temi del tutto alieni a Ponti che di sé avrebbe scritto nel 1944: "La mia mente non ha predisposizione per le impostazioni di principi, per architettare teorie, per una razionalità ab imis di termini e d'inquadramento di pensieri". Nella familiarità di contenuti e di tono narrativo, queste prime pagine di Ponti per il Corriere, appaiono piuttosto come altrettanti capitoli d'un maneggevole prontuario ad uso domestico, che bene si presta ad essere consultato dal lettore comune. La lunga collaborazione del maestro milanese al giornale di via Solferino intreccia tre decenni della storia d'Italia, di cui costituisce il caleidoscopico riflesso: gli anni centrali del regime fascista, la guerra, la fase costituente della Repubblica, la ricostruzione, il miracolo economico italiano.
Gio Ponti e il Corriere della Sera
L'antologia di scritti curata da Luca Molinari e Cecilia Rostagni testimonia la lunga collaborazione del maestro milanese al giornale di via Solferino.
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- Michela Rosso
- 21 ottobre 2011
"Creare i fondamenti di un'opinione pubblica in materia di architettura e suscitare una naturale propensione alla modernità" non solo tra gli specialisti, ma tra la gente comune è, come si scrive nella prefazione a questa bella antologia (che si avvale della disponibilità dell'archivio storico del Corriere, oltre che dei preziosi documenti custoditi da Paolo Rosselli) l'obiettivo fondamentale dell'appassionata predicazione di Ponti sulle pagine del quotidiano milanese. Un lavoro caratterizzato dal susseguirsi di almeno quattro diverse stagioni, ciascuna delle quali è l'esito d'un complicato intreccio tra vicissitudini della storia nazionale, parabola professionale dell'architetto e cambiamenti ai vertici del quotidiano milanese.
La prima di queste dura all'incirca quattro anni, dal 1933 e il 1937, e ha come protagonista assoluto la casa, terreno elettivo di quel complessivo progetto di divulgazione della cultura dell'abitare e dell'architettura moderne che Ponti persegue ormai da qualche anno e di cui sono anche espressione, in quegli stessi anni, seppur in chiavi diverse, la rivista Domus da lui fondata e diretta, e i progetti di "case tipiche" per Milano.
Dalla primavera del 1937, accanto all'abitare moderno, l'architettura e l'urbanistica del capoluogo lombardo diventano il centro d'una riflessione inedita e occasione di nuovi contributi: nella serie "Avvenire di Milano", non più in terza pagina, ma nella cronaca milanese, gli scritti di Ponti, dal 1935 coinvolto nelle commissioni edilizie comunali, registrano puntualmente tutti i nodi urbanistici milanesi di maggiore attualità, dal concorso per piazza del Duomo allo Scalo Sempione, dal nuovo auditorium, al tracciato definitivo di piazza San Babila.
I drammatici anni della guerra, con l'inizio della nuova avventura editoriale di Stile, fondata nel 1941, vedono diversificarsi ulteriormente la gamma dei temi affrontati: agli articoli sull'arte per la casa, lo stile e il gusto dell'abitare, l'artigianato e la ceramica si affiancano quelli su materiali e autarchia, la "casa per tutti", la ricostruzione dei monumenti danneggiati dalle incursioni alleate.
Temi che Ponti riprenderà e svilupperà dopo la guerra declinandoli secondo le impellenti necessità dettate dalla ricostruzione e dal Piano Fanfani. In quella che è forse la stagione progettuale più libera e prolifica del maestro milanese, accanto alla casa, ancora e sempre al centro della sua scrittura, Ponti si muoverà estemporaneamente e con inedita leggerezza tra una moltitudine d'interessi: dalla formazione di una nuova generazione di architetti alle vicende della cronaca architettonica e urbanistica milanese, dalle sorti della Triennale alle celebrazioni di Italia 61, dalla contemporanea scena edilizia newyorkese alla rivisitazione del mito dei grandi maestri della modernità architettonica.
La lunga collaborazione del maestro milanese al giornale di via Solferino intreccia tre decenni della storia d'Italia, di cui costituisce il caleidoscopico riflesso: gli anni centrali del regime fascista, la guerra, la fase costituente della Repubblica, la ricostruzione, il miracolo economico italiano.
A rendere più completo il ritratto d'una figura per molti versi ancora oggetto d'un superficiale ostracismo critico, che l'attuale profluvio di pubblicazioni ha solo recentemente contribuito a correggere, sono anche le due prefazioni a quest'antologia. Se la prima di esse, firmata da Luca Molinari, consente di seguire in parallelo le vicende del Ponti polemista e quelle del Ponti architetto, designer, fondatore e direttore di riviste, tratteggiando il profilo d'una biografia intellettuale distintasi per poliedricità e prodigalità, la seconda, firmata da Cecilia Rostagni, nella fitta rete di rapporti che lega Ponti alle cinque figure di direttori, rende quasi tangibili i limiti entro cui è costretta a muoversi un'attività editoriale durata trentatré anni pressoché ininterrottamente ma non sempre aliena da tensioni e scontento. Una nota biografica, il carteggio tra Ponti e la redazione, una raccolta di scritti su di lui pubblicati nello stesso quotidiano e firmati da Bazzani, Ojetti e Mario Perazzi, contribuiscono infine a restituire una tessera finora mancante della sfaccettata personalità di questo indiscusso maestro del XX secolo.
Michela Rosso