di Roberto Dulio

Rino Levi. Arquitetura e cidade, R. Anelli, A. Guerra, N. Kon, Romano Guerra Editora, São Paulo, 2001 (pp. 324, s.i.p.)

La formazione di Rino Levi avviene in bilico fra Brasile e Italia: di origine italiana, nasce a San Paolo nel 1901, si trasferisce a Milano nel 1921, dove si iscrive alla sezione di Architettura del Politecnico milanese, quando è forte il ruolo didattico di Portaluppi, e ne frequenta i corsi, allora combinati con quelli dell’Accademia di Brera. Negli stessi anni sono studenti anche Terragni, Figini, Pollini, e stanno anche maturando gli avanguardistici programmi che porteranno alla formazione del “Gruppo 7”. Nel 1924 Levi passa alla Scuola superiore di Architettura di Roma, quando è massimo lo sforzo compiuto da Giovannoni per dare corpo alla nuova figura di “architetto integrale”; lavora nello studio di Piacentini e contemporaneamente conosce Libera. Nel 1926 ottiene il titolo di architetto e ritorna subito dopo in Brasile. Insomma intreccia la sua biografia con quelli che saranno i protagonisti – seppure su fronti assai diversi – di quella stagione culturale in Italia, e di quegli stimoli contraddittori elabora una personale esperienza.

Le prime opere di un certo rilievo che Levi realizza a San Paolo, come il palazzo Columbus del 1930-34, o la casa Ferrabino del 1931-32, possono essere considerate dei veri e propri paradigmi della sua formazione: quietamente moderne, con qualche riferimento alla tradizione; un elegante equilibrio, tipico di tanta produzione italiana, in bilico tra il rigore espressivo del dettato razionalista, e più corpose soluzioni formali. Più estrema la casa Medici del 1935-36, che comunque, con le sue citazioni del lessico nautico, rimanda ad altrettanto tipici motivi dell’epoca. Con il palazzo e il cinema Ufa del 1936, dalle evidenti suggestioni Déco, pare proprio confermato il ricorso a quel linguaggio equilibrato, moderno ma non estremo, conciliante, tipico della produzione dei solidi, e colti, professionisti della costruzione.

Le cose cambiano con l’edificio dell’istituto Sedes Sapientiae del 1940-42 e con il palazzo Trussardi del 1941, entrambi a San Paolo, dove le forme si fanno più asciutte, e la caratterizzazione delle soluzioni comincia ad essere affidata semplicemente alla textures del vetrocemento, o dall’affiorare di nitidi telai, che però al tempo stesso dialogano con le irregolarità del luogo e della vegetazione. È il caso dei portici ondulati dell’istituto Sedes Sapientiae. Nel 1945 Levi partecipa al primo Congresso Brasileiro de Arquitetos e lo stesso anno diventa membro del Ciam. L’avvicinamento all’ortodossia modernista, oltre a mutarne il linguaggio, che come abbiamo visto si trovava già ad una svolta, lo promuove ad una carriera più evidente, più facilmente collocabile rispetto ai canali e alle strategie internazionaliste della modernità. La prima parte della sua attività rimane però una preziosa testimonianza della complessa realtà professionale e culturale degli anni precedenti.

La casa che Rino Levi costruisce per se stesso nel 1944, sempre a San Paolo, inaugura quell’attenzione alla tradizione e alle tipologie locali che sarà tipica di gran parte della successiva produzione, e che, secondo certi canoni della revisione moderna, costituirà il leitmotiv espressivo di tanti architetti che arrivati in Sudamerica saranno affascinati da questa contaminazione, o che troveranno in essa conferma a riferimenti già impiegati: come non pensare alle opere brasiliane di Lina Bo Bardi, Bernard Rudofsky e Daniele Calabi? Quando l’alto contenuto tecnologico necessario alle soluzioni costruttive di grandi edifici, o di particolari scelte architettoniche, non permette queste soluzioni di ambientamento ecco che la linea curva, la pianta complessa, la forma avvolgente, le ceramiche colorate, il rapporto con il verde, costituiscono un più idealizzato colloquio con l’ambiente. Ne sono rispettivi esempi l’ospedale Candido de Camargo che Levi realizza a San Paolo nel 1947-53, e la casa Gomes a San José dos Campos del 1949-51.

Negli anni successivi è abbastanza evidente cogliere nelle opere di Levi una certa influenza di Le Corbusier, avvertibile sia in ambito urbanistico, con il progetto presentato al concorso per il Piano regolatore di Brasilia del 1957, sia in quello più propriamente architettonico, leggibile nel palazzo Concórdia del 1955-57, a San Paolo, con la facciata schermata da un articolato brise-soleil, o nella giustapposizione di volumi del palazzo per il Banco Sud-Americano do Brasil del 1960-63, sempre a San Paolo. Anche l’ultima opera di Levi, il Centro civico di Santo André, del 1965-68, con il teatro a tronco di cono tagliato da un piano inclinato, sembra proprio un dichiarato omaggio al maestro svizzero.

Al momento della sua morte improvvisa, nel 1965, Rino Levi è diventato un architetto noto, non solo in Brasile. La sua svolta avanguardista del dopoguerra, l’attenzione ad una serie di determinati valori, e la qualità dei risultati, lo ha reso un soggetto interessante, soprattutto per un certo ambito culturale, tanto che proprio le Edizioni di Comunità gli dedicano nel 1974 una monografia, Rino Levi, con dei brevi testi di Roberto Burle-Marx e Nestor Goulart Reis Filho. Il repertorio presentato in quel libro rimaneva fino ad oggi la fonte più documentata sul lavoro di Levi; il nuovo volume di Renato Anelli, Abilio Guerra, Nelson Kon recupera, ancora una volta, la sua opera. Splendidamente illustrato da disegni, materiali e fotografie originali, insieme anche a nuove immagini realizzate da Kon, curato nella grafica, nell’apparato di note e nella bibliografia, il libro soffre però di alcune ingenuità storiografiche, soprattutto delle eccessive semplificazioni riguardanti i rapporti di Levi con la cultura architettonica italiana, durante la sua formazione, e con gli orizzonti internazionali durante il resto della sua carriera professionale.

Roberto Dulio, architetto