di Federico Bucci
Bruno Taut 1880-1938
Winfried Nerdinger, Manfred Speidel con Kristiana Hartmann e Matthias Schirren Electa, Milano, 2001 (pp. 436, euro 103,29)
Il 16 agosto 1931, il quindicinale Le Arti Plastiche pubblica in prima pagina la recensione che lo studente architetto Ernesto N. Rogers dedica al libro Die Neue Baukunst in Europa und Amerika di Bruno Taut. Il giovane Rogers coglie subito la specificità del volume nell'ampio panorama editoriale dell'architettura moderna, riportando la critica di Taut a quella "ossessione del piroscafo" che aveva colpito Le Corbusier e molti altri architetti dell'epoca.
"A tutta prima - scrive Rogers - il materialismo del Taut potrebbe essere confuso col meccanismo del Le Corbusier, ma in realtà l'architettura e le idee del tedesco sono assai più aderenti alla vita: mentre Le Corbusier imita nelle sue opere la macchina ed è del tutto infatuato dal dinamismo, il Taut insiste, e secondo me con molta ragione, che la casa deve utilizzare la macchina ma all'opposto di questa deve essere statica e non solo in senso stretto, cioè costruttivamente, il che è troppo evidente, ma in ogni sua funzione; deve essere tranquilla e proteggerci dal dinamismo delle macchine e dal turbine delle metropoli".
È un nuovo maestro quello che teorizza un più stretto legame con la vita, che guarda al futuro dell'abitare con "radici profonde" nella tradizione. Sì, Taut è un nuovo maestro ma proprio in questo 1931, dopo i "sette anni grassi" (dal '24 al '30, come si legge nel suo diario) si accinge a preparare il viaggio che lo porterà a disperdere i semi del suo insegnamento nel mondo — tra Russia, Giappone e Turchia — fino alla morte che lo coglierà all'improvviso, a cinquantotto anni, nel 1938.
Torniamo ancora indietro all'anno 1931. Il 18 marzo, sulla Frankfurter Zeitung esce l'ultimo dei quattro articoli che Walter Benjamin dedica all'imponente figura di Karl Kraus: "L'opera del dilettante è innocua e pura; quella del maestro è distruttiva e purificante — scrive Benjamin —. È perciò che l'inumano sta tra noi come messaggero di un più reale umanesimo". E aggiunge: "Bisogna avere già seguito la lotta di Loos col drago ornamento, bisogna aver udito l'esperanto astrale delle creature di Scheerbart o avere scorto l'angelo nuovo di Klee, che preferirebbe liberare gli uomini prendendo loro quello che hanno che renderli felici donando, per poter comprendere un'umanità che si afferma nella distruzione". Kraus l'aveva compreso, Benjamin pure, ma tra i maestri che hanno seguito Loos, udito Scheerbart e visto l'angelus novus di Klee c'è anche Bruno Taut.
Anch'egli, come Benjamin, si è espresso sul doppio binario della "intuizione mistica e comprensione razionale" (come ha scritto Scholem). Anch'egli, come Kraus, è stato sia "sulla soglia di una nuova epoca" (secondo Loos), sia "sulla soglia del giudizio universale" (secondo Benjamin). Qualche anno fa, in un saggio dedicato a Der Weltbaumeister, lo spettacolo teatrale scritto da Taut nel 1920, Manfredo Manfredini eleggeva "la teatralità del proporsi architettonico quale paradigma interpretativo del progetto tautiano". La vita di Taut è infatti un continuo aprire e chiudere le scene di un'unica rappresentazione dedicata agli uomini che abitano il mondo. Glas, pseudonimo usato da Taut con gli iniziati della Gläserne Kette, è lo stesso razionalissimo assessore all'edilizia di Magdeburgo, o l'arguto interprete delle tradizioni architettoniche giapponese e turca.
Il libro Bruno Taut 1880-1938, edito da Electa, approfondisce con estrema cura, affidandosi a più mani, le varie scene della vita di Taut, concludendo un percorso di studi avviato nel 1970 da Kurt Junghanns, portato avanti in questi anni dal lavoro di Iain Boyd Withe, Kristiana Hartmann, Manfred Speidel (che firmano alcuni scritti di questo volume) e in Italia dai significativi contributi di Gian Domenico Salotti, promotore nel 1987 di un importante convegno internazionale che diede un grande impulso alle ricerche sull'architetto tedesco. La caleidoscopica Weltanschauung tautiana è così presentata e sezionata, da studiosi di diversa formazione, in tutte le sue meravigliose composizioni.
Alla precisa ricostruzione degli episodi più conosciuti della carriera di Taut, il 'visionario' cultore degli esoterici cristalli scheerbartiani o l'appassionato architetto-urbanista costruttore di quartieri operai, si affiancano interessanti testi sugli anni della formazione, la produzione teorica, l'attività artistica, il ruolo dello spazio interno, fino all'esame particolare delle tre tappe conclusive del drammatico esilio. Il risultato è un testo definitivo sull'opera di Bruno Taut che non solo ricompone le molteplici facce di un protagonista dell'architettura del Novecento, ma assegna anche il colpo finale a quelle interpretazioni che raccolgono sotto l'unica posticcia bandiera del "materialismo macchinista" personalità così dense di tradizione e spiritualità.
Taut legge i mistici medievali e studia la casa giapponese per imparare ad abitare. Taut progetta città giardino colorate e sogna cattedrali sulle Alpi per offrire la Terra al Cielo. Taut disegna le colonne del Teatro di Ankara per rendere omaggio alla storia (e non come disse Martin Wagner perché "non trova più la strada del nuovo"). Taut è dunque un Weltbaumeister, costruttore del mondo, con la musica e l'architettura; ma conosce bene il destino "distruttivo e purificante" della propria opera. Per questo, come nel suo spettacolo teatrale, egli resta dietro le quinte lasciando la scena ai suoi angeli. Ecco allora comparire l'angelus novus di Klee, che fissa lo sguardo sul passato da cui si allontana ma volge le spalle al futuro dal quale proviene. E, soprattutto, ci sono gli angeli di Scheerbart che, dopo aver risvegliato l'umanità, riempito la terra di fantastiche architetture e punito i malvagi, "ripongono i palazzi, rindossano i loro guanti, prendono in braccio le loro cattedrali e se ne volano via".
Federico Bucci, professore di Storia dell'architettura contemporanea al Politecnico di Milano
Bruno Taut e i suoi angeli
View Article details
- 08 gennaio 2002