Il successo internazionale di Yuval Noah Harari non è soltanto una buona notizia, ma può essere considerato come una finestra aperta sulla speranza di raggiungere un mondo migliore.
Da molti mesi oramai due suoi libri occupano un posto negli scaffali dei più venduti in oltre cinquanta paesi in cui sono stati tradotti. Certo, è assai probabile che non tutti i libri venduti vengano poi letti, così come è lecito supporre che non tutti quelli letti siano capiti. Ciò non ostante l’incredibile diffusione di Sapiens–Da animali a dèi–Breve storia dell’umanità apparso in ebraico nel 2011 e in inglese nel 2014 e di Homo Deus-Breve storia del futuro pubblicato in ebraico nel 2015 e l’anno successivo in inglese, appare tanto eccezionale quanto inconsueta. Perché purtroppo, dai tempi della Rivoluzione Industriale in poi, nel mondo dei libri – e ahimè non soltanto in questo – è assolutamente inconsueto imbattersi in prodotti di qualità capaci di superare o almeno di affiancare i troppi prodotti la cui unica qualità è quella di essere venduti in grande quantità. Harari ci restituisce la speranza invertendo la perversa tendenza che ci vede soccombere sotto la ragione numerica, la ragione che antepone la quantità alla qualità. Si tratta di certamente di due libri che tutti dovrebbero leggere e rileggere. Ma veniamo ai contenuti, anche se la pur abbordabile densità dei due testi rende quasi impossibile una sintesi. In Sapiens Harari propone un’originale e seducente interpretazione delle trasformazioni intervenute negli ultimi 70.000 anni, dividendo questo lungo intervallo in tre parti.
La prima parte, la più lunga, che dura circa 60.000 anni, è quella dell’uomo raccoglitore-cacciatore. Un uomo per il quale il tempo si immobilizza, appena scandito dalla reiterata alternanza tra il giorno e la notte. Il tempo del raccoglitore-cacciatore non ha né passato né futuro, ma soltanto l’incombente presenza di un presente fondamentalmente vuoto di novità e di trasformazioni. L’uomo è parte integrante della natura che lo circonda e della quale conosce le opportunità e le insidie, atmosferiche, paesaggistiche, vegetali e animali. La vita scorre in uno spazio dato e in un tempo lento, sempre uguale, quasi immobile.
In Sapiens, Harari propone un’originale e seducente interpretazione delle trasformazioni intervenute negli ultimi 70.000 anni, dividendo questo lungo intervallo in tre parti.
La seconda parte, che inizia all’incirca 12.000 anni fa, è quella che vede la comparsa dell’agricoltura e dell’allevamento in Mesopotamia con la conseguente sedentarizzazione degli umani. In principio gli agricoltori coltivano e allevano quanto sufficiente ai bisogni loro e della loro famiglia. Con la scoperta dell’evidente importanza delle stagioni, cambia la percezione del tempo, che conosce un ritmo diverso, scandito dall’alternanza delle diverse stagioni. Ben presto i contadini sedentari si ingegnano di accumulare delle scorte, in modo da proteggersi da eventuali possibili accidenti climatici o di altra natura. Queste scorte determinano due fatti di capitale importanza: la nascita del Mercato e quella del Potere. Un potere fondato sulla forza che ben presto si trasformerà nello Stato. Sono le scorte che, con l’invenzione del denaro, rendono possibile l’invenzione della compra-vendita, dopo molto tempo trascorso nelle pratiche dello scambio e del baratto. Sono ancora le scorte che inducono quelli che poi diventeranno i soliti noti – i futuri governanti, capaci di conquistare con la forza il potere e di esercitarlo, in maniera mafiosa o politica – a offrire e/o a imporre la loro “protezione” in cambio di una parte delle derrate che il contadino ha messo da parte. Il sequestro arbitrario e forzoso delle scorte apre le porte al sistema delle tasse e delle imposte. Strumenti essenziali per raccogliere i denari per pagare le bande armate che poi si trasformeranno in quegli eserciti essenziali all’esercizio di un potere ineluttabilmente costituito con la forza e istituzionalizzato con le leggi.
La terza parte inizia con la Rivoluzione industriale e si sviluppa con le susseguenti rivoluzioni: quella agricola, quella dei trasporti, quella tecnologica fino a quella finanziaria dei nostri giorni. Quest’ultima parte dura da 250 anni all’incirca e non sembra essere ancora esaurita, anche se il sistema su cui poggia dà preoccupanti segni di logorio. Ancora una volta la percezione del tempo è cambiata. Dopo 60.000 anni vissuti nella statica immobilità di un tempo presente, senza passato né futuro, seguiti da altri 10.000 trascorsi al ritmo del succedersi delle quattro stagioni, il tempo ha cominciato a correre soccombendo al ritmo dell’orologio, frammentandosi in ore, minuti e secondi.
Nasce l’uomo moderno, il consumatore, che occupa tutti gli spazi mentre i raccoglitori-cacciatori scompaiono quasi del tutto e i contadini, vittime dell’industrializzazione agricola, sono sempre di meno. A fronte dei 70.000 anni trattati da Harari, appare impressionante la accelerazione iperbolica intervenuta, in poco più di due secoli, nella nostra percezione del tempo. L’uomo, alle prese con un sapere sempre più complesso e scientificamente fondato, si scopre da una parte esonerato da vincoli e credenze che si era autoimposto e dall’altra destinato a una libertà difficile da gestire.
Il tempo ha cominciato a correre soccombendo al ritmo dell’orologio, frammentandosi in ore, minuti e secondi.
In Homo Deus Harari si sottrae alla tentazione di farsi profeta, limitandosi a dare conto di quello che abita di già, in maniera incontrovertibile, nel nostro presente, anche se la maggioranza di noi lo considera come parte del nostro futuro. Il lettore apprende allora con sbigottimento che:
- i robots stanno inesorabilmente sostituendo il lavoro umano, dimostrando di essere capaci di produrre meglio e di più, oltre a non creare problemi sociali;
- l’intelligenza artificiale fornica da tempo con indecifrabili algoritmi che essa stessa rigenera continuamente ponendosi al servizio della Scienza e della sua inarrestabile avanzata verso spazi e tempi imprevedibili e difficilmente controllabili; ma anche della Finanza alla Goldman Sachs;
- l’ingegneria genetica è assai vicina a dare vita a uomini privi delle imperfezioni che affliggono gli Homo sapiens, cioè noi tutti.
Non una profezia ma una previsione, a mio avviso ragionevole e attendibile, Harari la fa ed essa dovrebbe indurre a riflettere con attenzione: il lungo ciclo iniziato decine di migliaia di anni fa dall’Homo sapiens quando riuscì a prevalere sull’Homo neanderthalensis terminerà nel giro di poche decine di anni. Venti? Trenta? Cinquanta?
Sia come sia, siamo arrivati a fine corsa.
Signori, prepararsi a scendere!