A quanto pare, tutte le creature senzienti – sia umane che meccaniche – lottano con l’ansia, un sintomo e un prodotto dell’iper-capitalismo di oggi. Questa è la tesi alla base di Guanyin: Confessions of a Former Carebot, un’installazione multimediale ideata dall’artista e regista londinese Lawrence Lek, presentata durante il 2024 Artist Award al Frieze London e co-commissionata e coprodotta da Frieze e Forma.
Fantascienza, melodramma documentario, realismo sociale e cosmologie buddiste si fondono nell’universo cinematografico di Lek, che l’artista chiama Sinofuturismo. È in questo contesto che indaga alcuni temi cruciali (e cliché) legati al progresso tecnologico: esiste una zona grigia in cui la tecnologia comincia a sviluppare una dimensione emozionale e spirituale? E che cosa succederebbe se la tecnologia alla quale deleghiamo il lavoro di cura servisse anche ad altre intelligenze artificiali?
Ambientato nell’universo narrativo del Sinofuturismo, l’opera d’arte presenta Guanyin, un carebot progettato per salvare altre AI dall’orlo dell’autodistruzione. Non sorprende che il cyber-terapista abbia un genere femminile, poiché sappiamo che il lavoro di cura è storicamente assegnato alle donne. Più precisamente, l’artista attinge dalle cosmologie cinesi, chiamando il robot come la dea buddista della misericordia, Guanyin (letteralmente “colei che ascolta”).
L’installazione presenta una scultura che ritrae Guanyin in una posa “reale”, che alla fine del IX secolo è stata spesso utilizzata per rappresentare la divinità. Attraverso il worldbuilding narrativo, Lek invita i visitatori a immergersi in un videogioco in cui seguiamo Guanyin mentre esamina una serie di auto con guidatore automatico che sono state segnalate a causa di comportamenti problematici.
Attraverso una storia sci-fi e interattiva, impostata come “walking simulator” (un genere di videogiochi in cui i giocatori navigano l’ambiente e scoprono indizi), questo esperimento creativo riflette non solo sul cliché di un’AI senziente, già ampiamente discusso, ma apre il discorso al ruolo problematico della cura psicologica delegata all’intelligenza artificiale.
Infatti, negli ultimi anni i chatbots AI-powered – disponibili 24/7 e liberamente accessibili attraverso qualsiasi smartphone – hanno dimostrato di avere il potenziale per apportare miglioramenti significativi nella fornitura di servizi di assistenza alla salute mentale. Tuttavia, come sottolineato dai ricercatori della Simon Fraser University, Zoha Khawaja e Jean-Christophe Bélisle-Pipon, in una ricerca pubblicata nel 2023, questa rivoluzione nel l’interazione uomo-macchina comporta diverse implicazioni etiche: dal il rischio di fornire un sostegno inadeguato o dannoso fino allo sfruttamento delle categorie vulnerabili, passando per la possibilità di somministrare consigli discriminatori a causa del pregiudizio algoritmico, ancora fortemente radicato nei sistemi di IA.
Inoltre, è stato dimostrato che gli utenti possono spesso fraintendere la natura del rapporto che hanno con i chatbot, portando a un’errata concezione terapeutica. In conclusione: no, al momento l’AI non sostituirà la psicoterapia; tuttavia le esasperazioni concettuali e fantascientifiche create da artisti come Lek ci permettono di indagare, con anticipo, i problemi etici dello sviluppo di questa tecnologia in questo campo.
Immagine di apertura: Lawrence Lek, Guanyin: Confessions of a Former Carebot, 2024. Video still. Courtesy l’artista