La mostra sui prepper racconta come ci si prepara alla fine del mondo

We Will Survive è la più importante mostra mai fatta sul complesso fenomeno di coloro che da anni si preparano alla fine del mondo, tra stili di vita alternativi e veri e propri estremismi.

La storia antichissima del mondo è costellata di predizioni e miti che, come riti quasi abituali, allertano il genere umano su eventi naturali potenzialmente disastrosi e distruttivi: catastrofi, pandemie ed eruzioni, carestie, terremoti e inondazioni, ma alla fine, almeno in questa continua narrazione, c’è sempre la sopravvivenza, perché la preoccupazione e la preparazione ad un evento simile è comunque un atto previsionale, e quindi anche progettuale.

Al Design Museum di Losanna, il mudac - musée cantonal de design et d’arts appliqués contemporains, va in scena We Will Survive. The Prepper Movement una mostra che affronta i vari aspetti di questo modo di vedere e vivere la realtà, che risulta precaria per definizione ma che trova programmaticamente infinite soluzioni come strategie di salvezza.

Boîte à outils MacGyver, Uncrate. Courtesy mudac, foto Atelier de numérisation - Ville de Lausanne

La ricerca nasce da un’idea di Anniina Koivu, è stata presentata dal mudac come anteprima alla Design Week di Milano nel 2023 ed è poi stata sviluppata con Jolanthe Kugler, nuova chief curator del museo, arrivando a questa grande mostra che scandaglia un universo spesso sommerso fatto di dichiarazioni, intenzioni e azioni, oltre a opere, oggetti e spazi.

Con il termine “prepper” si intendono varie categorie di persone e di culture, chi adotta uno stile di vita autosufficiente cercando rifugio in zone remote, attivisti che professano stili di vita alternativi al sistema convenzionale o i più estremisti che si adoperano quotidianamente con attitudine paramilitare, detti anche survivalisti.

La storia antichissima del mondo è costellata di predizioni e miti che, come riti quasi abituali, allertano il genere umano su eventi naturali potenzialmente disastrosi e distruttivi: catastrofi, pandemie ed eruzioni, carestie, terremoti e inondazioni.

Mentre la maggioranza della popolazione non si preoccupa di tutto ciò o semplicemente spera che nulla di terribile accada, ci sono invece gruppi di persone organizzate che si preparano all’imprevedibile, vivendo un’esistenza orientata a controllare l’incontrollabile. I prepper in sostanza si “preparano” (anche per traduzione letteraria), ma è importante sottolineare che essi vogliono arrivare pronti non alla fine ma alla ripartenza.

LIFE Survive Fallout, 15 septembre 1961. Courtesy Mudac, foto Atelier de numérisation - Ville de Lausanne, Danielle Caputo

L’ordinamento è introdotto da una “timeline” che in un lungo corridoio, reso angusto e con luci intermittenti come atto scenico, riassume puntualmente le tappe dell’evoluzione umana tra predizioni, catastrofi, atti culturali e momenti significativi per i Prepper.

Segue una divisione tematica in tre sezioni che partono dalle “Minacce esistenziali e valutazione dei rischi” dove si individuano i pericoli primari che minano l’esistenza umana contemporanea. Oltre agli eventi naturali, che ripercorrendo anche la preistoria rimandano a varie estinzioni note, ci sono quelli più recenti e artificiali, ovvero creati dall’uomo, come attentati terroristici, attacchi batterici, black out, minacce nucleari… Risulta evidente che il nostro tempo si trovi davanti a pericoli apparenti sempre più imminenti, dai disastri ambientali alle emergenze sanitarie fino ai conflitti geopolitici, e un certo “senso del tempo” è importante da sensibilizzare in un mondo che è comunque abitato da “mortali” e per mettere a fuoco cosa sia realmente urgente. Non a caso ci sono due opere “temporali” che aprono e che chiudono il percorso: il “Doomsday Clock”, una rappresentazione del 1947 della rivista Bulletin of the Atomic Scientists che consiste in un orologio metaforico che misura il pericolo di un’ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è sottoposta, e il “Back To The Future Clock” (2019) di Atelier Van Lieshout dove oltre all’ora esatta, ogni tanto lo scorrere lineare del tempo si prende delle libertà che aiutano a riconsiderare le priorità.

Charles Negre e Aline Joana Ruede, Untitled, 2024. Courtesy mudac, foto Tapio Snellman

Il nucleo centrale attorno a cui si gravita e che si attraversa più volte, e dedicato alla “Preparazione individuale” dove, allestito come un vero supermercato con scaffali recuperati, si trovano centinaia di oggetti comunemente acquistabili. Sono elementi e strumenti che permettono di gestire le emergenze relative a varie categorie: l’acqua, il cibo, il calore, la luce e l’energia, il rifugio, l’igiene e infine l’acquisizione di competenze e la comunicazione. In questo labirinto un po’ alienante si trovano schermi con numerosi tutorial e foglietti illustrativi a disposizione del pubblico che regalano istruzioni su come fare velocemente cose utili alla sopravvivenza primaria come accendere un fuoco, riconoscere piante edibili nell’ambiente urbano, fare nodi essenziali oppure ottenere uno spazzolino da denti da un ramoscello.

Il nostro tempo si trovi davanti a pericoli apparenti sempre più imminenti, dai disastri ambientali alle emergenze sanitarie fino ai conflitti geopolitici, e un certo ‘senso del tempo’ è importante da sensibilizzare in un mondo che è comunque abitato da ‘mortali’.

L’ultima sezione, tenuta un po’ in disparte come un backoffice, riguarda la “Preparazione governativa” ed è dedicata alle varie misure previste dagli Stati attraverso la Protezione Civile della popolazione (strategie in cui i Prepper non confidano attivandosi quindi con loro tattiche). Cinque i casi studio esemplari per piani di protezione o di evacuazione.

Gli Stati Uniti in primis, dove dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale provocata dalle bombe atomiche e la partenza negli anni successivi della cosiddetta “guerra fredda”, si capì che la distruzione del mondo era purtroppo tecnicamente possibile. Il governo si impegnò dal 1961 con un piano di divulgazione chiamato “Family Fallout Shelter” che dava istruzioni su come proteggersi e prepararsi ad un eventuale attacco nucleare.

Leo Fabrizio, série Bunkers, 2002. Courtesy Leo Fabrizio

Gli altri casi analizzati sono riferiti a Tokyo dove il pericolo di terremoti e tsunami è molto concreto ma la città con i suoi più di 14 milioni di abitanti risulta preparata ad ogni evenienza; a Napoli dove dal 1841 l’Osservatorio Vesuviano monitora l’attività vulcanica dell’area che è così pericolosa che l’unica protezione risulta l’evacuazione di circa 500.000 mila abitanti in meno di 72 ore; a Helsinki dove esiste un masterplan urbano sotterraneo costruito all’inizio della guerra fredda, in continua espansione e quotidianamente utilizzato dai cittadini, che prevede oltre a centinaia di chilometri di tunnel di collegamento veri e propri poli di aggregazione come impianti sportivi, chiese, musei, discoteche oltre a rifugi per la popolazione. E infine la Svizzera, con i suoi piani di protezione perfetta che prevede, unico caso al mondo, più posti rifugio sicuri che cittadini effettivi, oltre al cosiddetto “Ridotto Nazionale” ovvero una linea di fortezze armate create a scopi difensivi, incastonate nelle Alpi e collegate da tunnel sotterranei.

Dopo tutte queste allerte e previsioni di disastri la mostra si conclude con una nota positiva data dalla necessaria consapevolezza che il mondo civilizzato di oggi è già per molti aspetti migliore di quello del recente passato: riduzione della mortalità infantile, aumento della scolarizzazione, diminuzione dell’inquinamento, incremento della riforestazione, sono solo alcune pratiche che seppur molto faticosamente sono già state impostate e stanno sempre più entrando nell’indispensabile buon senso comunitario dei terrestri.

Identità visiva per la mostra We Will Survive. Progetto grafico Frederik Mahler Andersen

Il nostro pianeta non è un elemento inerte e statico ma organico e vivente quindi i mutamenti sono all’ordine del giorno: bisogna solo decidere, consapevolmente e responsabilmente, se aspettare un mutamento distruttivo e disperato o far sì che proprio la speranza insieme alla preparazione e al progetto, si dimostrino gli strumenti migliori per un futuro certamente diverso ma anche relativamente migliore. In fondo una fine è ciò che da inizio al nuovo.

L’allestimento è dello studio svizzero Xpo (Camille Blin, Anthony Guex, Christian Spiess) che con varie intuizioni spaziali, utilizzando elementi preesistenti e un linguaggio della precarietà, prova a realizzare uno scenario adeguato e interpretativo del tema. Accompagna la mostra un libro We Will Survive edito dal mudac con numerosi ulteriori approfondimenti storici e critici.

Mostra:
We Will Survive. The Prepper Movement
Dove:
Mudec, Losanna, Svizzera
Date:
dal 13 settembre 2024 al 9 febbraio 2025

Ultime News

Ultimi articoli su Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram