Ci hanno fatto sognare un mondo in realtà aumentata. Un mondo in cui indossando dei visori simili a normali occhiali ci saremmo immersi in un ambiente digitale del tutto intrecciato con quello fisico, in cui le indicazioni di Google Maps vengono proiettate direttamente sull’asfalto e i cattivi dei videogiochi entrano dalla porta di casa. Al risveglio, però, abbiamo scoperto che l’ultima innovazione in materia – presentata trionfalmente da Facebook e in collaborazione con Luxottica. Sono i Ray-Ban Stories, smart glasses in grado di scattare foto (mediocri) e farci ascoltare (male) la musica. Tutto qua?
A quanto pare, il “metaverso” di cui Zuckerberg parla da anni può aspettare: al suo posto abbiamo ottenuto degli occhiali smart il cui più grande pregio è quello di essere quasi indistinguibili da “normali” Ray-Ban. Merito di Luxottica, appunto – che su questo aspetto ha insistito molto, e a cui vanno riconosciuti i giusti meriti – e anche degli ingegneri di Facebook, che sono riusciti a inserire i componenti tecnologici (fotocamere, speaker, microfoni) nel pochissimo spazio aggiuntivo concesso dai designer. Nel complesso, i Ray-Ban Stories pesano solo cinque grammi in più di un normale paio di Wayfarer (uno dei modelli disponibile in versione smart).
Le buone notizie, però, finiscono qui. Partiamo dal nome: Ray-Ban Stories? Pensare a qualcosa di più didascalico e scontato era difficile. È come se Facebook volesse spiegarci già dal nome a cosa serva questo prodotto: a scattare ancora più foto e a girare ancora più video (di qualità non eccelsa: le due fotocamere sono da 5 megapixel) al fine di postare sui social in maniera ancora più pervasiva e immediata. Che noia.
D’accordo, oltre a scattare foto e girare video, i Ray-Ban smart sono in grado di farvi ascoltare musica, comunicare con l’assistente virtuale e telefonare. Ma c’è un problema: poiché l’audio viene trasmesso dagli occhiali – e non tramite auricolari o cuffie – le persone attorno a voi sono costrette a sentire in sottofondo ciò che state ascoltando o le vostre telefonate. Non il massimo della privacy.
Eh già, la privacy. I Ray-Ban Stories non ci obbligano solo ad ascoltare la musica e i podcast altrui, ma rendono anche più vicino alla realtà un mondo in cui possiamo fotografare e riprendere qualunque cosa senza che le persone che ci stanno attorno se ne accorgano. Facebook, che con la privacy ha già avuto qualche problema, è ovviamente consapevole di questo aspetto, ragion per cui ha fatto sì che per scattare foto si debba tenere premuto un pulsante per due secondi (o dire ad alta voce all’assistente di scattare), che le videocamere siano ben visibili e che lo scatto faccia rumore. Il risultato, comunque, è che immortalare chiunque in qualunque momento senza farsi notare oggi è più facile, con tutto ciò che ne consegue.
Per assurdo, Facebook non può nemmeno intestarsi il (dubbio) merito di aver creato questi nuovi problemi. La verità, infatti, è che di dispositivi simili ai suoi Ray-Ban Stories ne esistono da anni. Li ha fatti Bose per ascoltare la musica, li ha fatti Razer per giocare e li ha fatti Amazon per comunicare con l’assistente e per telefonare. E poi, ovviamente, ci sono gli Spectacles: i vituperati smart glasses di Snapchat sono in circolazione da cinque anni, permettono di fare foto e scattare video, hanno un’estetica piacevole e nell’ultima incarnazione presentano perfino degli elementi in realtà aumentata.
Rispetto alle promesse cyberpunk, e nonostante l’elegante confezionamento messo sul tavolo da Luxottica, i Ray-Ban Stories sembrano più che altro confermare il pessimo rapporto di Facebook con l’hardware. Dal disastro del Facebook Phone al flop di Portal (a tutti gli effetti, un tablet che permette solo di videochiamare), Mark Zuckerberg non sembra dare il meglio di sé quando si tratta di ideare (e non acquistare, come avvenuto con Oculus) dispositivi tecnologici.
C’è però un altro aspetto da considerare: l’obiettivo di questi Ray-Ban smart potrebbe anche essere soltanto quello di farci gradualmente abituare a un futuro in cui indosseremo visori in realtà aumentata senza ripetere l’errore di Magic Leap, il cui dispositivo è già dotato di ogni funzionalità AR ma costringe ad andare in giro conciati come cyborg (e infatti non li ha comprati nessuno). L’idea di Facebook (e di Snapchat e di Amazon e di Bose e – a breve – di Apple) è invece di creare smart glasses indossabili come normali occhiali e poi introdurre gradualmente nuove funzionalità mano a mano che la tecnologia si miniaturizza.
La strada è quella giusta, insomma. Ma finché gli utilizzi sono così ridotti (e pieni di limiti), l’accoppiata smartphone più AirPods (o equivalente) è decisamente più funzionale. E questo vale anche per un aspetto finora poco discusso: se l’obiettivo teorico è di farci utilizzare questi smart glasses tutto il giorno, che senso ha che siano occhiali da sole? E se è notte o mi trovo in metropolitana? Sfoggiare sunglasses anche quando piove fa sembrare cool solo Kanye West o Anna Wintour. Noi comuni mortali sembreremmo degli idioti.