È una astronave atterrata da poco più di un anno nel mezzo di un cantiere il nuovo data center del brand tecnologico cinese Oppo. Siamo in un sobborgo della gigantesca Shenzhen, la megalopoli che dall’interno del territorio della Repubblica Popolare fa da specchio alla più antica e celebre Hong Kong. Le separa venti minuti di treno. Più precisamente, questa è Binhaiwan Bay, il centro geografico di questo spicchio di mondo dove si prevedono 100 milioni di abitanti nel 2030. Basta una gugolata veloce per farsi un’idea di come sarà tra qualche anno, con progetti come l’Industrial Park, che estenderà anche qui un certo cliché del presente futuro a cui ci stiamo abituando: tante torri, tanto verde, molto vetro, camminamenti sospesi, geometrie ortogonali ridotte al minimo. Shenzhen, supercittà del futuro, si sta facendo bella. Anche intorno al data center di Oppo, mostrano i render, sorgerà un quartiere residenziale dalle linee futuristiche.
L’ingresso dal data center è gigantesco e bianco, il pavimento riflette ogni tuo passo, le geometrie curvilinee e immacolate da astronave destinata a portare l’umanità nel suo futuro abbracciano il visitatore facendolo sentire minuscolo. Il cuore del vascello è una mente, anzi una massa cerebrale tutta digitale: AndesBrain, la nuvola di servizi smart cloud di Oppo, ha qui la sua parte fisica. Nelle sale dei server si percepisce solo un sottile ronzio. Sul tetto dell’edificio, invece, è installato il sistema di raccolta delle acque piovane che rende questo complesso particolarmente efficiente. Le macchine vengono raffreddate con un sistema a immersione. Il risparmio di energia è del 45%.
In più tutta l’energia consumata arriva da fonti rinnovabili. Non è un dettaglio: siamo abituati a pensare che i dati che facciamo ruotare su smartphone e computer non ci costino nulla in termini di energia e bilancio sostenibilità. In realtà i data center succhiano il 3% della produzione mondiale di energia. Una quantità ovviamente destinata a crescere.
Un fiorire di architetture
Negli uffici di Oppo nella Crc Tower nel distretto occidentale di Shenzhen, lo Spring Bamboo (bambù di primavera), come chiamano con il suo nickname più celebre questa mastodontica rilettura orientale del Gherkin, su una mensola in una grande sala, tra smartphone e lettori mp3 d’amarcord (Oppo è partita con quelli), fanno sfoggio i modellini che oggi e domani rappresenteranno l’inarrestabile ascesa del brand cinese, numero uno in patria nel Q2 di quest’anno.
C’è la sede dell’R&D disegnata da Big (quell’edificio scherzosamente paragonato all’occhio di Sauron sui giornali d’architettura), il nuovo complesso di Zaha Hadid Architects che farà da HQ dell’azienda qui a Shenzhen, un incredibile sogno parametrico di siluri verticali in vetro e metallo che sembrano modellati a mano come se fossero d’argilla. Ma anche il campus di Chongqing e il centro R&D a Chang An, entrambi disegnati da Kpf, altre astronavi atterrate sul suolo cinese. Oltre alla torre da 42 piani di Gianni Botsford Architects a Chengdu. Segni di un fenomeno che conosciamo da tempo: quando certe aziende fanno un potente balzo in avanti, è la loro architettura che le racconta. Forse addirittura prima dei prodotti. E quel salto Oppo lo sta facendo proprio adesso.
Gli ultimi progressi in fatto di realtà virtuale e aumentata, e di applicazioni dedicate alla salute, vengono mostrate a un gruppo di giornalisti e creator che arrivano da mezzo mondo, dalla Spagna alle Filippine, dalla Polonia all’Australia, negli uffici Oppo in una porzione di Nanshan, quartiere di Shenzhen dove l’acqua della baia ha lasciato spazio alla costruzione di nuovi edifici e nuove torri. Questa città è un gigantesco cantiere e lo spazio sembra non bastare mai. Oggi gli abitanti sono circa 13 milioni, fino agli anni Novanta era solo uno: la designazione ad area economica speciale risale al 1979, ma è solo con il boom del tech che Shenzhen ha davvero trovato la sua vocazione, il motivo che la definisce. Una crescita talmente travolgente che in Cina si parla di “Shenzhen speed”.
Shenzen, tra presente-futuro e il domani che verrà
Decine di piani più in basso, il traffico scorre ordinato. Molte, moltissime auto hanno la targa verde che contraddistingue i veicoli elettrici qui in Cina. Ci spiegano che ottenere una targa per un veicolo termico qui è più difficile, ci vogliono fino a otto mesi. Nel negozio del marchio di auto elettriche Xpeng fa bella mostra la prima macchina volante autorizzata dall’ente cinese per il volo. Al semaforo però c’è fissa una persona che per lavoro alza una bandiera e fischia quando è verde. Rispetto agli avanzamenti in termini di robotica e AI che Oppo mostra nei suoi spazi, sembra il fossile di un mondo che quasi non c’è più. Ma anche soltanto rispetto a una città in cui si paga quasi solo in digitale, con AliPay o Wechat, e dove sui marciapiedi è difficile non scontrarsi con umani zombificati con lo sguardo perso dentro il telefono mentre camminano, il braccio piegato come a replicare l’emoji del selfie 🤳. Chissà cosa ricorderemo di questo presente in cui gli umani ancora lavoravano. E cosa faranno quegli umani.
Chissà cosa ricorderemo di questo presente in cui gli umani ancora lavoravano. E cosa faranno quegli umani
Oppo è ancora oggi in evoluzione. Parte con l’audio la sua storia, di cui oggi l’ottima linea Enco è in qualche modo erede. I primi dispositivi dell’azienda sono lettori digitali di musica, il primissimo si chiama X3 ed è del 2005. Inizia tutto a nord di Shenzhen, nel Dongguan, dove Oppo è ancora presente con un grande campus in cui gli edifici si alternano al verde e ai campetti sportivi. Qui si trovano laboratori ad alto grado di automazione come quello per addestrare le fotocamere dei cellulari. Sedici scenari ricostruiti nel dettaglio (il bar, il supermercato, la sala da pranzo e così via) vengono percorsi da macchine robotizzate che scattano in loop foto e selfie con una precisione che nessun umano riuscirebbe ad avere.
Nel museo dello smartphone
Ma ci sono qui anche altri laboratori, da quelli per il test dell’Nfc agli altri che testano la resistenza all’acqua degli smartphone. Qui si trova anche uno degli stabilimenti di produzione degli smartphone di Oppo. In media, ci vuole una mezzora per assemblare un telefono e circa lo stesso tempo per la successiva fase di test. Una lunga vetrata percorre la catena di montaggio e le varie stazioni in cui gli operai dell’azienda sono indaffarati ad assemblare, pezzo dopo pezzo, il più comune oggetto tecnologico dei nostri tempi. Ci si cammina davanti come a una vetrina, a scrutare cosa succede, percorrendo i vari passaggi di stazione in stazione, come umarell davanti a un cantiere. Qui i cellulari li fanno, ma è vietato usarli. Non c’è comunicazione con chi è al di là del vetro, indaffarato nel lavoro.
Come in un museo, una sequenza di targhe illustra le varie fasi con cui materiali inerti si trasformano nel compagno intelligente di cui oggi non possiamo fare a meno. Un compagno che sarà sempre più intelligente, grazie a un articolato sistema di servizi che lo irrorano di funzioni sempre più avanzate, come quelli erogati da AndesBrain o AndesGPT, il raffinatissimo modello linguistico su cui sta lavorando Oppo, secondo molti benchmark tra i migliori in circolazione, che si accompagna all’assistente vocale dell’azienda, Breeno.
Verso un futuro che sarà sempre più popolato di intelligenze alternative. E chissà che fine faranno gli omini che alzano la bandiera al semaforo. La certezza c’è però, ed è che per capire dove stiamo andando, tutti noi e non solo questa Cina sempre più autarchica, capire Shenzhen è oggi imprescindibile.
Tutte le foto courtesy Oppo, salvo dove diversamente specificato. Immagine di apertura: i futuri HQ di Oppo a Shenzhen, di ZHA