Italia fragile è la settima tappa del viaggio con cui Domus chiude il proprio anno. Un viaggio reale, ma anche d’iniziazione al mistero di un Paese che, a volerlo guardare davvero, tanto misterioso non è. Dopo Non c’è Italia senza spine (2017) sull’orgoglio del lavoro italiano, Fabbrica Italia (2018), analisi della produzione in relazione al territorio, Milano Italia (2019) sulla città avanguardia nella velocità di cambiamento, Recovering Italy (2020), dedicato alle capacità di reagire alla pandemia, Viaggio in Italia (2021) sugli spazi della cultura e Lo stato dell’arte (2022) un focus sull’evoluzione dei musei, questo numero è dedicato alla fragilità dell’esperienza abitativa, che nelle ultime stagioni ha preso però accelerazioni inaspettate.
Il 2023 sarà ricordato come l’anno più caldo di sempre in Italia, e quello in cui è piovuto meno nonostante quasi 200 “fenomeni metereologici estremi” che hanno prodotto morti e devastazione sul patrimonio architettonico, industriale, culturale e sociale. Le fragilità messe in evidenza dal cambiamento climatico riguardano il 91 per cento dei Comuni italiani, dove il 13 per cento degli edifici sorge su aree a pericolosità medio-alta e 38.000 opere culturali sono esposte a pericolosità erosiva o franosa. Record macabri.
Le ragioni vengono da lontano e riguardano altre criticità, come la spesa in istruzione che è pari al 3,9 per cento del Pil contro il 6,5 della Norvegia e ben al di sotto del 4,4 della media europea, in cui il nostro Paese precede di poco solo Grecia e Ungheria. L’11,5 per cento dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni abbandona la scuola e solo 17 su 100 consegue una laurea, contro una media europea di 30. Il 17,2 per cento sceglie discipline amministrative e giuridiche, il 16 materie umanistiche e il 7,4 scientifiche, con destinazione estero.
L’ideologia del turismo e della finanza, per cui ogni proprietario di casa acquisisce la mentalità di un albergatore e di un broker, non sono un male in sé, ma rischiano di diventare l’unico strumento con cui le città riorganizzano spazi, politiche ed economie urbane azzerando le priorità dei cittadini e massimizzando quelle di viaggiatori e speculatori.
Un Paese di burocrati, contabili e politicanti: difficile aspettarsi tutela delle vulnerabilità. L’emergenza abitativa nasce qui. Dalle ragioni che avevano ben descritto Carlo M. Cipolla e Giuseppe Prezzolini, il secondo in un libro profetico che ha lo stesso titolo di questo numero: Italia fragile. Un luogo dalla doppia morale, per cui la cultura non ha valore salvo per lusingare il potere di turno, dove il pubblico è solo un concetto da depredare, il privato non è un elemento regolato per l’evoluzione del vivere civile, le elezioni si vincono promettendo cose che non si potranno mantenere e il territorio è un’opportunità da sfruttare, proprio come il Superbonus. Facendolo pagare a chi non può protestare perché non è ancora nato.
Da tutto questo, e molto altro, discendono i dati oggettivi dell’emergenza casa. Basti pensare che gli alloggi popolari pubblici sono circa 760.000, ovvero 300.000 in meno di quanti servirebbero, nonostante oltre un secolo di interventi per costruirle (Legge Luzzati del 1903, Piano Ina-Casa, detto Fanfani, del Dopoguerra, la Legge 167 del 1962) e per dimetterle (Legge 560 del 1993, Legge 80 del 2014 il celeberrimo Piano Casa Renzi-Lupi).
Questa fragilità abitativa accelera oggi per almeno due fenomeni: la turistificazione e la finanziarizzazione del mercato globale. Il volto storico del Belpaese favorisce infatti le esigenze dei turisti a discapito di quelle dei residenti, una tendenza aumentata dopo il 2017 con la Legge 96 che liberalizza gli affitti brevi. L’ideologia del turismo e della finanza, per cui ogni proprietario di casa acquisisce la mentalità di un albergatore e di un broker, non sono un male in sé, ma rischiano di diventare l’unico strumento con cui le città riorganizzano spazi, politiche ed economie urbane azzerando le priorità dei cittadini e massimizzando quelle di viaggiatori e speculatori. È la realtà di questo momento storico, della cultura e del mercato che lo produce a cui contribuiamo, volenti o nolenti. Dobbiamo prenderne atto ed accettarlo, senza smettere di interrogarci se coincide con l’idea di individui, di comunità e di futuro che abbiamo e che desideriamo.
Immagine di apertura: Copertina di Domus 1085, dicembre 2023. Turista in piazza San Marco, Venezia, 2019. Foto © Matteo de Mayda