Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1076, febbraio 2023.
Poteva essere un omaggio alla propria generazione, divenne un simbolo del loro fallimento e dell’incapacità di istituzioni, élite e intellettuali di comprendere il valore dell’architettura che, nell’impossibile equilibrio tra memoria e futuro, salva o condanna l’unico vero tesoro d’Italia. Destinandolo, come scrisse Antonio Cederna ne I vandali in casa (1956), “al malgoverno del territorio, al disfacimento delle città, alla distruzione della natura, all’abrogazione del paesaggio, all’eliminazione dello spazio necessario alla salute pubblica”.
Questo viaggio inizia nel centro di Paliano, piccolo paese del frusinate dove, per arrivare, bisogna chiedere diverse volte prima di avere indicazioni. A distanza di quasi 50 anni, resta difficile infatti scovare quello che il FAI considera uno dei più straordinari esempi di arte contemporanea d’Italia: il Gymnasium di Massimiliano Fuksas, progettato nel 1979 e realizzato nei sei anni successivi. Qualcosa di più di un edificio messo a concorso, un vero spartiacque della storia dell’architettura italiana che, dopo quasi mezzo secolo d’abbandono, mantiene un’eleganza e un rispetto unici che, pur nell’incuria, gli fa dominare ancora la Valle del Sacco.
Circondato da una strada provinciale che si perde nel nulla, non prima però di avere mostrato lo spettacolo d’incredibili villette a schiera, colorate a tinte pastello e nuove di zecca, il cui prototipo s’immaginava perduto, il Gymnasium venne pubblicato dall’allora prestigiosa rivista L’architecture d’aujourd’hui, lanciando il giovane architetto romano di origine lituano-tedesca, facendolo invitare a Parigi e aprendogli le porte della fama globale.
Una facciata inclinata e staccata dal resto dell’edificio che pare precipitare verso il fiume tradisce un simbolismo non difficile da interpretare. Fuksas fa critica del suo tempo e della sua generazione, quella del 1968, che in nemmeno dieci anni ha già bruciato il proprio fallimento rivelando l’inadeguatezza ideale, culturale, etica, politica che imporrà al Paese. Un’inclinazione, per così dire, opposta e reciproca a quella della Casa pendente di Bomarzo, uno dei capolavori del Rinascimento realizzato a pochi chilometri da qui nel 1547 dall’architetto Pirro Ligorio per distrarre dalla noia di corte il principe Pier Francesco Orsini. Un capolavoro nato dall’abilità di sagomare pietre in basalto, ma prima ancora di realizzare una visione del mondo dove la natura e l’artificio, gli animali mitologici, le divinità e i mostri si fondono con l’umano secondo un codice alchemico. Un linguaggio in parte perduto dove l’uomo è al centro del mondo, che però resta misterioso e mosso da potenze arcane e inconoscibili. Dunque, da rispettare.
In effetti, mentre la cura assoluta del parco di Bomarzo eleva lo spirito, lasciando al visitatore la possibilità di essere coinvolto in un mondo onirico, ludico ed edonistico, lo stato di abbandono del sistema di equilibri apparentemente instabili di cemento armato immaginato da Fuksas, che si oppone alla solennità della struttura sconvolgendone la percezione, lascia solo una sensazione di sgomento. Specie passeggiando fra gli scivoli e le giostre per bambini posizionati sul tetto, da cui si accede attraversando un piccolo parco dedicato a Willy Monteiro. Proprio il giovane di Paliano massacrato due anni fa a Colleferro, a pochi chilometri da qui, dai due fratelli giovani che, anche sul piano estetico, rappresentano in forma compiuta la caduta verticale del nostro Zeitgeist.
Eppure, nel 2014, l’amministrazione comunale indisse un concorso d’idee per fare rivivere il Gymnasium, vinto da Luca Calselli e Giovanni Scaglioni. Gli auspici erano alti: “Come la Fenice rinasce, così, nel terzo millennio, a 100 anni dal Futurismo, la Palestra di Paliano diventi, dunque, il manifesto di una nuova modernità. Non Delusione e Rinuncia, ma Voglia di Futuro”. Evidentemente, non solo l’ortografia andò storta in un territorio celebre per il Bosco, un querceto centenario di 30 ettari incastonato in un’area naturale protetta dalla legge regionale.
Dono di nozze 100 anni fa di Augusto Gazelli dei conti di Rossana per la figlia Luisa, in sposa al principe Fulco Ruffo di Calabria, asso dell’aviazione nella Prima guerra mondiale e Medaglia d’oro al valor militare, il bosco passò poi al principe Antonello Ruffo di Calabria, un nobile eccentrico rispetto agli schemi dell’aristocrazia dell’epoca, antesignano dell’ambientalismo e creatore del primo parco ornitologico italiano. Antonello piantò tre milioni di alberi per realizzare un suo sfizio: la Selva di Paliano. Un’oasi di 470 ettari di cui il cuore è proprio il Bosco.
Oggi, per arrivarci e andando a cavallo, a piedi o in bicicletta, si costeggia uno dei centro Amazon più importanti e grandi d’Italia, lo stabilimento FC2, che sorge laddove finisce la Ciociaria e inizia il comune di Paliano. L’anno scorso, a ottobre, la notizia dell’incremento della retribuzione d’ingresso per i dipendenti della logistica di Amazon, portata a 1.713 euro lordi al mese, fece il giro d’Italia. Rallegrando i cuori e le menti dei lavoratori e della popolazione locale, che nemmeno sa cosa sia il Gymnasium di Fuksas né, forse chi era Ruffo.
Anche questo è un segno dei tempi, fu la scelta di Orsini di creare attraverso opere scultoree un itinerario di matrice alchemica per elevare lo spirito verso la perfezione, affidandone la realizzazione non a Michelangelo, come a lungo si era pensato, ma al meno noto Simone Moschino, a cui propose un emolumento superiore al mercato prima di presentarlo alla moglie, Giulia Farnese, a cui il “boschetto” fu dedicato.