Il percorso espositivo si apre con circa 200 grandi fotografie, stampate su tessuto, sospese al soffitto e in movimento nello spazio della Fondazione. I volti e le immagini di piccole quotidianità arrivano dall’archivio personale di Boltanski che negli anni ha raccolto storie concentrate in sguardi, ritratti e scatti. Il moto continuo impresso alle immagini sospese nel vuoto è un invito a lasciarsi andare al flusso del tempo e della memoria. Che succederà “dopo”? E quanti “dopo” ci sono già stati nella vita delle persone, nei ricordi e nella casualità degli eventi?
Le foto girano come i fatti della vita, si può decidere di inseguirle con lo sguardo o muoversi dietro loro, ma poi alla fine bisogna lasciarle andare e pensare al “dopo”.
Sequenze rapide, flashback di vita prima giovane e poi adulta insistono anche con il volto di Boltanski Entre Temps le cui foto si prestano al gioco del tempo che passa trasformando e assottigliando i ricordi fino a renderli ombre. Ombre che a sorpresa appaiono in mostra come figure esili e tremule si allungano sulle pareti, evocando presenze tra il sogno e la realtà, in un gioco dove l’aspetto ludico si combina con la componente dell’inquietudine, dell’illusione e dell’inganno. Le ombre come le foto insistono sulla precarietà umana, sul tentativo di trattenere quello che sfugge, ma soprattutto sul coinvolgimento individuale nella narrazione collettiva che si chiama vita, storia, pensiero.
Un applauso liberatorio, con il video Clapping Hands, sottolinea il passaggio dello spettatore prima di scendere al piano inferiore della Fondazione. È l’omaggio che Christian Boltanski ha voluto fare al lavoro di Mario Merz e alla capacità di essere presenti al proprio tempo coltivandolo e rendendolo fecondo anche per chi viene dopo.
Infine scatole di cartone ricoperte di cellophane e impilate l’una sull’altra formano costruzioni di dimensioni differenti e prendono possesso dello spazio. Instabili torri, archivi scomposti – evoluzione delle boites de biscuits care a Boltanski – poggiano a terra come dimenticate e appena rischiarate dalla luce delle lampadine che da lontano scrivono la parola DOPO nel buio. La memoria è lì e, come i circuiti cerebrali, attende solo di essere riattivata, aprendo cassetti, cercando nelle storie comuni, giocando con i rimandi nel presente.
fino al 31 gennaio 2016
Christian Boltanski. Dopo
a cura di Claudia Gioia
con il supporto di Fondazione CRT
Fondazione Merz
via Limone 24, Torino